martedì 8 aprile 2014

Un’azione notturna su Alessandria del 10° Stormo BT - Il Poker nel deserto

Testo Tratto da Aeronautica Mensile n.8 Settembre 1996

Un’azione notturna su Alessandria del 10° Stormo BT

Il Poker nel deserto

Era il mese d'agosto. Nel deserto piatto e senza fine, il ghibli sollevava la sabbia che entrava in ogni dove, una cipria che trovava posto dentro l'orologio,nel tabacco delle sigarette chiuse nei pacchetti, tanto che prima di accenderle dovevamo soffiarci dentro per non sentirci scricchiolare la sabbia tra i denti.

Oggi non si vola, però questa sera, o meglio questa notte, c'è un'azione su Alessandria d'Egitto. I nostri vent'anni suppliscono perfettamente alla calura, si beve poco e, a dire il vero, anche poco si mangia. Il fisico è asciutto, non si suda, però le ventate di ghibli sono come fiammate che colpiscono in pieno viso e la sabbia sulle gambe, rasoterra, sembra mille spilli che ti martoriano le gambe. L'unico riparo è la tenda, anche perché il riverbero del sole acceca e fa bruciare gli occhi.

Arriva la sera, il sole cala all’orizzonte, ed è subito buio. Mi sdraio sulla brandina, solo tela: comincia a far freddo e mi copro con la coperta, ma qualche pulce comincia il suo pasto. Non "si mai dove siano e da dove vengano, le pulci: sono annidiate nel tessuto o saltano fuori dalla sabbia? Le loro punture non sono come quelle delle pulci nostrane ma sembrano morsi di cani arrabbiati che fanno sobbalzare come se si fosse colpiti da scosse elettriche. Ma io, che mi sono premunito, attendo l'attacco con i miei strumenti difensivi: di fianco alla brandina ho il secchio della benzina con la siringa con cui si lavano i motori, già pronta e piena della miscela al tetraetile di piombo. Così appena sento il “morso", alzo con la gamba la coperta e immediatamente dò una spruzzata di benzina: il nemico è colpito e non morde più si può riposare!

Le ore passano lente. Quale marconista sono in equipaggio per l'azione di questa notte. Arriva un po' di caffé, un'acqua nera senza sapore, poi si fuma qualcosa ed infine ci si alza. Con le cassette in dotazione si prepara un tavolo, si stende una coperta a mo’ di tovaglia e per far passare il tempo si gioca un “pokerino”. Poiché sono l’unico dei quattro che debba andare in volo, gli altri potrebbero riposare. Preferiscono però stare svegli e farmi compagnia, perchè siamo vecchi amici e compagni da tanto tempo nella stessa squadriglia. La luna comincia ad alzarsi all’orizzonte e dare un pò di bagliore.

Mentre attendiamo che si alzi ancora un po’,in tenda si continua a giocare un “poker” di pochi spiccioli - centesimi di lire d'allora. Il silenzio del deserto e rotto da qualche latrato degli sciacalli e dal riso delle iene che si azzuffano per potersi cibare di qualche rifiuto sparso nel deserto

Adesso però è il rumore di un motore a rompere il silenzio del deserto: è il mezzo
che viene verso la mia tenda. Mi sento chiamare: è arrivata l'ora della partenza. Con i miei compagni di gioco faccio l'atto di radunare gli spiccioli e le carte per la fine della
partita ma loro dicono di lasciare tutto come sta perché la partita non è ancora conclusa e
potrà continuare al mio ritorno da Alessandria. E’ un buon auspicio, un augurio affinché tutto si possa risolvere nel migliore dei modi. Questo è il clima, l’affetto, l’amicizia che ci lega in squadriglia, consci del pericolo che si corre.

Raccolgo le mie cose per il volo: calzari, maglione, tuta “marus”, il brogliaccio, i codici e sono pronto. Il mezzo mi accoglie, saluto il comandante e gli altri componenti dell'equipaggio: il primo pilota e’ il colonnello Carlo Unia, comandante del 10° Stormo Bombardamento Terrestre Veloce, che comprende le quattro squadriglie 55a, 56a, 57a e 58a, mentre il secondo è il tenente Troncone.

In linea di volo il motorista ha già messo in moto. Si sale, si parte, qualche sobbalzo per
un avvallamento o qualche sasso ma poi,con i motori che ruggiscono al massimo, con
uno strappo il poderoso e glorioso S.79 carico di carburante e di bombe stacca le ruote e
si libra nell’aria verso l’obbiettivo.

A bordo è quasi tutto buio. Qualche lumicino, i faretti di bordo, ma noi ormai siamo abituati a muoverci dentro questo velivolo col quale voliamo da anni e che conosciamo in ogni particolare. Il volo procede bene, la luna ora comincia a mostrare il suo faccione tondo, sempre sull’orizzonte. Siamo quasi sulla verticale della costa, stiamo ben al largo di Tobruch perché l’incrociatore S.
Giorgio non scherza, non guarda in faccia a nessuno,non accetta che qualche male intenzionato le faccia scherzi di nessun genere!
Ed ancora Bardia, Sollum, Sidi el Barrani, Marsa Matruk. Da terra ci arriva qualche sventagliata e dall'alto vediamo le traccianti come giochi d’artificio. Sembra che vengano verso di noi ma si perdono, curvando, oltre la coda dell’aereo..... quando non ti colpiscono? E’ già un paio d’ore che si vola, io al mio posto radio, l’armiere che corre sù e giù per l’aereo, il motorista sempre attento ai motori mentre il colonnello Unia ed il ten. Troncone sono ai comandi. Ogni tanto io vado verso il Col.Unia per dargli qualche notizia che ho captato alla radio in ascolto, in quanto noi abbiamo l’obbligo di mantenere il silenzio radio. Ad un certo punto il motorista mi fa cenno perché gli dia una mano per travasare la benzina nei vari serbatoi. Cominciamo a pompare in una posizione alquanto
scomoda, ma siccome su quell’aereo ci stiamo tutti insieme, ognuno fa come sempre lasua opera.

Ora la luna e allo zenit. La costa ci e familiare: il mare e la terra sono ben visibili, netti i contorni....un po’ obliqua c’è “lei”, Alessandria,’ che conoscevo bene, oltre che dalle certe geografiche, anche per aver preso parte nel febbraio 1940 al trasferimento in volo _di aerei S.81 in Africa Orientale Italiana, trasvolando l'Egitto ed il Sudan fino ad Assab. Ecco la grande base navale della possente flotta inglese! Avevamo preso quota, superando i 5.000 metri. Nessun lume, solo la luna col suo chiarore che ci faceva vedere quel che c’era sotto di noi. Noi tutti eravamo
più che guardinghi, perchè ci avevano avvisato che gli inglesi ci avrebbero contrastati con la caccia notturna. Ma in realtà tutto sembrava calmo, né un lume né uno sparo.

Eravamo meravigliati da tutto ciò. Dovevamo colpire i moli della baia di Aboukir. Un
piccolo giro e ci indirizziamo sull’obbiettivo; ancora silenzio e buio, poi si sgancia la pri-
ma bomba sui depositi della baia, ed ecco in men che non si dica scatenarsi l'inferno!

A decine i riflettori si accendono, le cannonate si sprecano, da tanto chiarore tutto diviene buio. L’aereo è come una foglia in una tempesta, scivola d’ala, sobbalza, s’impenna. Altre bombe vengono sganciate, sotto le ali è come un ribollire, le esplosioni non si sa quante siano. Abbiamo ancora i portelloni aperti, sia il Colonnello Unia che il tenente Troncone spingono il volantino tutto in avanti: siamo in picchiata! L'aereo vibra tutto, i motori ringhiano, le ali fischiano, i piani di
coda fanno un rumore come se da un momento all'altro si dovessero staccare. Quanto
dura tutto ciò? Un minuto, un’ora, un'eternità?

Mentre i fari ci tengono nei loro coni di luce, le cannonate ci fanno ancora sobbalzare. Scivoliamo quasi a toccar l’acqua, dai portelloni ancora aperti Vengono spruzzi di acqua di mare ma siamo fuori dall'inferno e l'eternità è terminata. Ma la missione non ancora: ad un certo punto ci troviamo in coda un chiarore intenso. La caccia notturna? Alla mitragliatrice! Si spara, in mezzo ai fumi del-
le cannonate, prima di scoprire che quel ba gliore non era altro che la luna! Ci ridiamo
su: meglio così, però si seppe dopo che anche altri aerei come noi spararono alla luna! Questa missione, sapemmo poi, aveva il compito di far da civetta mentre gli incursori della
Marina attaccavano le navi alla fonda.

La via del ritorno, all'alba, con il sole che si alzava ed il mare azzurro a far da contrasto al colore ocra della sabbia. Il nostro cielo è più bello che mai ed il ‘79 scivola veloce men-
tre il gebel si fa sempre più vicino. Siamo all’atterraggio, ancora un pò di rullaggio e poi
i motori tacciono il loro canto di vittoria. Tutti ci sono attorno, per salutarci, per sapere an-
che i più piccoli particolari della missione.

Finalmente entro in tenda, stanco, e trovo i miei amici ad attendermi.. «Mario, la partita di poker non è ancora finita. Prendiil tuo posto al tavolo!» Guardai in faccia i miei compagni e nei loro occhi lessi la stessa mia gioia di essere ritornato alla base. In un attimo la gioia soppiantò la stanchezza e mi sedetti al rudimentale tavolo di gioco per continuare la partita.

di MARIO BIGAZZI

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