domenica 29 ottobre 2017

Un Vivaio di piloti di Leonardo Algardi

da Aeronautica n.11 Dicembre 1995:
 

Un Vivaio di piloti

di Leonardo Algardi


Che incoraggiare il volo fra i giovani avesse negli anni Trenta lo scopo concreto di incrementare il vivaio dei piloti con sempre nuove leve era risaputo, ma io ne ebbi prova tangibile attraverso uno dei documenti che dovevano entrare a fare parte del mio archivio aeronautico, Fu allorché, essendomi rivolto nel 1937 al competente gerarca del Partito per essere aiutato a conseguire il brevetto di secondo grado, che abilitava al pilotaggio di aerei da turismo, ne ebbi la seguente risposta: « ... nell'inviarti il più vivo elogio per la passione che ti spinge verso il volo, sono spiacente di doverti comunicare che non mi è possibile favorirti, giacché questa Sezione ha per scopo di fare conseguire il brevetto solamente a coloro che siano idonei al pilotaggio militare ... »

In effetti, non avevo più l'età!


La copertina di un opuscolo di propaganda del Reale Aero Club

Ero, infatti, già al momento di andare sotto le armi, quando quanti erano già in possesso del brevetto e di un idoneo titolo di studio potevano prestare servizio come sottotenenti di complemento, tentando anche la via dell'Accademia Aeronautica. Da altro documento, il regolamento della Scuola Idrovolanti dell'Aerocentro Ligure da Turismo,gestita dall'Aero Club di Genova, emerge che" ... dopo il conseguimento del brevetto di pilota, se ( . .il giovane .. ) ha già compiuto il servizio militare, avrà il diritto di entrare nella Riserva Aeronautica e, come tale, di compiere annualmente dieci ore di volo presso le Squadriglie da Turismo Aereo, percependo un premio di Lire 1.000 da parte del Ministero dell'Aeronautica ... " Mille lire, s'intende di 55 anni or sono!

A quell'epoca i giovani piloti brevettatisi tramite gli aero club non solo non avevano quindi il problema del costo dell'ora di volo ai fini del mantenimento del titolo, ma erano addirittura spesati attraverso una sorta di "borsa di studio". Dallo stesso documento emerge anche come i giovani brevettati piloti da turismo prima della chiamata alle armi avessero anch'essi diritto di compiere le dieci ore di volo annuali per allenamento, nonché di percepire il premio.

Ovviamente, dato che, come oggi, soltanto i maschi sarebbero potuti divenire piloti militari, le donne erano escluse a priori da qualsiasi provvidenza. "In quanto al personale femminile - precisava il regolamento degli aerocentri da Turismo - poiché vigono sempre, fino a nuovo ordine, le disposizioni a suo tempo emanate, che vietano ad esse l'ammissione alle Scuole di pilotaggio civile - è ovvio che non possono, naturalmente, essere accettate le domande di visita inoltrate allo scopo anzidetto. Se trattasi, però, di donne straniere, le domande dovranno pervenire al Ministero dell'Aeronautica, che deciderà sull'eventuale accoglimento".

Quella del premio in denaro per l'allenamento annuale non era la sola concreta provvidenza a favore dei piloti da turismo aereo di sesso maschile: il Ministero dell'Aeronautica faceva ancora di più, contribuendo con il 50% al prezzo di apparecchi leggeri di costruzione italiana e nuovi di fabbrica. In tal modo, se un velivolo leggero veniva a costare 50.000 lire, l'acquirente ne sborsava soltanto la metà. (Si pensi che nel 1929 un'automobile media come la "Fiat 503" veniva a costare intorno alle 30.000 lire). Con tale misura si raggiungevano due risultati: quello di sostenere economicamente l'industria aeronautica nazionale e quello di dare ai piloti privati la possibilità di diventare proprietari di un apparecchio. Dopo di'che, per di più, si poteva anche beneficiare dell'hangaraggio gratuito.

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Questa politica aeronautica presupponeva un'adeguata disponibilità di apparecchi leggeri. Verso la fine degli anni '20, invece, l'Italia era ancora tributaria del mercato estero e, più da vicino, di quello europeo, dove, specialmente in Inghilterra e in Francia, la costruzione di aerei da turismo avveniva già in maniera industriale. Tanto per tornare all'esempio di Genova, il locale Aero Club era dovuto ricorrere a due biplani britannici, i famosi De Havilland Moth (Tignola) che, muniti di "scarponi", erano stati ospitati in una rimessa motonautica ricavata sotto la strada di corso Italia. al Lido d'Albaro che, quando l abitato non si era ancora esteso fin là. era stata teatro dei primi voli dei pionieri dell'aria nel cielo della città.

Il problema di quegli anni era compendiato nello slogan dare ali alla Patria", Prima di allora i progettisti di apparecchi per l aviazione economica non 'erano mancati. a partire da Aristide Faccioli, che nel lontano 1909 aveva realizzato il primo velivolo a motore costruito in Italia, un minuscolo triplano munito di motore da 25 HP, Seguirono i fratelli Errore e Umberto Ricci, che nel 1919 avevano costrui ro essi pure un triplano. il "Ricci 6", che, azionato da un motore da -lo HP. era di proporzioni talmente ridotte da essere considerato il più piccolo aeroplano del mondo di quei tempi. Il 1919 trova un terzo triplanino. quello di Emilio Pensuti, costruito dalla "Breda ed equipaggiato con motore da 40 HP, Nello stesso anno volava 1"'.\1.16". un biplano progettato da Alessandro To n in i , costruito dalla "Macchi" e azionato da un motore da 40 HP, Il 1923 v id e poi il "Rondine" di Giovanni Pegna, un monoplano azionato da un motore di appena 6 HP.

Come si vede, si trattava in tutti i casi, di piccoli velivoli a bassa potenza che, se non fosse per il peso che i motori a scoppio avevano allora, rientrerebbero oggi tra gli ultraleggeri. Alcuni degli apparecchi che abbiamo ricordato, come 1"'R,6" dei fratelli Ricci, l "'M, 16" di Tonini per la Macchi, il triplanino "Breda-Pensuti", avevano partecipato nel luglio 1920, sull'aeroporto milanese di Taliedo, ad un concorso, indetto l'anno prima della Lega Aerea Nazionale, per aerei leggeri da turismo, Un precedente quindi c'era stato ed allora aveva raggiunto lo scopo, anche se non commercialmente, giacché l'apparecchio che aveva vinto il concorso, un modello dell"'M.16" munito di motore da 50 HP, andò venduto in venti esemplari agli Stati Uniti ma non si affermò in Italia.

Quando pochi anni dopo la "Macchi", sull'onda di questo primo uccesso, realizzò il biposto a doppio comando M,20, sempre in legno e tela, azionato da un motore Anzani da 45 HP, munito di carrello a prova d'atterraggio anche su terreni sconnessi, con la possibilità di essere trasformato in idrovolante, si pensò che, naturalmente aggiornando i parametri, ci si avvicinava al velivolo per il vero e proprio turismo aereo e quindi rispondente alla pianificazione di nuove leve di piloti per la Riserva Aeronautica,

Ma i tempi erano cambiati e per formare nuovi vivai di giovani aviatori occorreva una generazione di apparecchi leggeri più moderni, soprattutto nel senso che, disponendo ormai il mercato di motori a scoppio di minor peso, era possibile aumentare la potenza e migliorare le prestazioni di volo, Fu così che nel gennaio del 1928 il Ministero dell'Aeronautica, d'intesa con il Reale Aero Club d'Italia, che nel frattempo aveva assorbita la Lega Aerea Nazionale, bandì un concorso fra le industrie aeronautiche nazionali per la realizzazione di un aeroplano da turismo e scuola che doveva essere biposto ed avere una potenza non superiore a 100 HP.

E' appunto da tale concorso che uscì quella serie di apparecchi leggeri italiani che negli anni '3 O da una parte formarono nuove generazioni di giovani piloti e dall'altra permisero a celebri aviatori dell'epoca - da Francis Lombardi a Vittorio Beonio-Brocchieri - di realizzare grandi raid aero turistici intercontinentali. Chi volava in quegli anni non può non ricordare il "Eia t-ASc l " e il "Breda Ba,15", che vinsero il concorso del Ministero dell'Aeronautica, il "Caproni Ca.100", presto diventato popolare come "Caproncino", il "Romeo Ro.5", il "Macchi M.70.

Con la disponibilità dei nuovi apparecchi leggeri di costruzione nazionale, mentre gli Aero Club provinciali potevano provvedere alla formazione di vivai di giovani piloti, per l'istruzione di aviatori al di fuori dei ranghi militari venivano costituiti, ad iniziativa degli stessi Aero Club, gli Aerocentri da Turismo, Subito dopo un primo Centro, promosso a Milano da Ferretti di Castelferretto, Piero Magni, pioniere delle costruzioni aeronautiche sportive, creò a Genova l'Aerocentro Ligure da Turismo dotandolo di due "Caproncini" a galleggianti che vennero così ad affiancarsi ai vecchi e tanto benemeriti "Tignola". Seguì a Roma l'Aerocentro del Littorio, che nel 1929 organizzò sull'aeroporto omonimo la prima Mostra Nazionale dell'Aeromobile da Turismo, nella quale furono esposti i velivoli leggeri appena usciti dal concorso del Ministero dell'Aeronautica,

Il monoplano ad ala bassa Breda A.2 immatricolato con la sigla I-BRIO
 
Ma per dimostrare sul piano pratico la validità dei nuovi aerei da turismo italiani era necessario metterli a confronto attraverso un'importante competizione di volo, Fu così che il Ministro dell'Aeronautica, Italo Balbo, ebbe l'idea di fare organizzare dall'Aero Club d'Italia, a partire dal 1930, il Giro Aereo d'Italia. La prima edizione, cui di anno in anno seguirono le altre, fu vinta dal colonnello Paride Sacchi su "Breda-BA.15". Con altri apparecchi, ugualmente provenienti da quel concorso, parteciparono gli aviatori che all'epoca erano più noti, da Arturo Ferrarin a Mario de Bernardi, entrambi su "Caproncino", e come

Francesco Agello su "Macchi M.70", oltre Francis Lombardi, Renato Donati, Nello Mazzotti, Leonida Robbiano. Alla competizione presero però parte anche i piloti delle Squadriglie da Turismo Aereo istituite in seno agli Aero Club provinciali per assicurare l'allenamento dei nuovi brevettati. Costituite nei primi mesi del 1930, dopo poco più di un anno le Squadriglie erano già 25 e disponevano di circa 200 apparecchi, avendo assicurato nel primo anno l'allenamento di un migliaio di piloti.

Nel 1932 io partecipai alla seconda edizione del Giro Aereo d'Italia quale "inviato speciale al seguito". Le mie testimonianze sono talmente ricche di episodi e aneddoti che potrebbero fare oggetto di un libro di interesse storico sull'aviazione italiana da turismo e sport: il saluto del Duce alle ore 5 di mattina del 17 luglio alla partenza dell'aeroporto del Littorio, la vivacità sempre leale dello spirito agonistico dei concorrenti, le loro avventure e disavventure nei cieli della Penisola, gli incontri con celebri aviatori italiani e stranieri, le simpatiche schermaglie tra noi corrispondenti di volo. 

                                
Il Fiat AS.1


La stampa, e non soltanto quella specializzata, ma anche quella quotidiana, dedicava a cavallo degli anni '20/'30, largo spazio a tutto ciò che riguardava l'aviazione leggera, trattando in modo esauriente quelli che erano i problemi di attualità del tempo e dando ampio risalto ai servizi speciali sulle competizioni aeroturistiche. Non vi era quotidiano degno di rispetto che non avesse un proprio redattore aeronautico. Basti ricordare Mario Massai per il "Corriere della Sera", Ernesto Quadrone per la "Stampa", Michele Intaglietta per la "Gazzetta del Popolo", Adone Nosari per il "Giornale d'Italia", Spartaco Trevisan per la "Gazzetta dello Sport". E, fra i tanti, chi scrive può dire "c'ero anch'io", allorché a Genova ero corrispondente aeronautico del "Giornale di Genova", del "Caffaro" e del "Lavoro", esaltando con slancio giovanile le gloriose imprese delle ali italiane nel mondo e accendendo di entusiasmo per il volo i miei giovani lettori.

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