I BOMBARDIERI DELLO STORMO "BALTIMORE" da aeronautica Marzo 1985
di T. Andrei
L'Aeroporto sulla necropoli
A metà strada fra Barletta e Canosa, in un punto della pianura solitaria solcata dal pigro Ofanto e recinta dalle piatte Murge, non lungi da un antichissimo campo di battaglia dal tragico nome che gli scavi hanno ormai ridotto ad una immensa necropoli, i reparti dello Stormo da bombardamento «Baltimore» hanno piantato le loro tende.
Ve le hanno piantate non nel senso metaforico, come usa dirsi talvolta, volendo significare lo stabilirsi in un dato luogo comunemente fornito dei necessari, più o meno comodi impianti, ma nel senso elementare della frase, con paletti, rampini, anelli e funi su pertiche di legno infisse nel nudo suolo; tende dagli orli svolazzanti entro cui s'ingolfa l'aria delle stagioni e sui cui si gettano, per tenerli calmi, paiate di terra.
Un uliveto, una vigna, una strada carrareccia, al di là il campo e, sopra d'essi, il cielo: tali i quadri del mondo - breve nelle dimensioni ma dilatato oltre i suoi confini dalle diuturne evasioni alate e dalla tensione degli spiriti - in cui vivono da mesi questi uomini, figli di ogni parte d'Italia, venuti qui, lontani dai loro affetti e soli, a fare la guerra.
Tornare dopo qualche tempo in un aeroporto di guerra desta sempre nell'animo un'impressione profonda, singolare.
Una diversa atmosfera
L'atmosfera che vi si respira non è simile ad alcun'altra: ci si sente in un mondo diverso, quasi che la vita di tutti i giorni sia distante non un breve tratto di strada, ma centinaia di chilometri.
La visione della città, con i suoi volti promiscui, con le sue voci discordi, s'allontana e scompare non appena, entrati nel campo, ci si imbatte in un crocchio di aviatori. Chiunque si sia, da dovunque si venga, purché collega, le mani di tutti sono pronte a serrare la vostra. Non si intavola un discorso: sembra se ne continui uno già cominciato tempo addietro, non si sa dove. L'ospitalità, questa perla delle solitudini, vi è offerta semplicemente, senza limitazioni, ed è il primo dono di cui si beneficia e il più ricco che si possa desiderare.
Subito si entra a far parte della comunità. Si rievocano episodi di tempi andati, nomi e figure di gregari e di comandanti, si scambiano domande e risposte su colleghi cari al ricordo: come l'hai visto, che faceva, quando si farà vivo. Ogni persona nota occupa, nell'opinione comune, una posizione particolare, a seconda delle sue qualità, e il giudizio è un giudizio sereno e comprensivo, ma difficilmente removibile. Aneddoti allegri, colti dalla realtà, memorie gravi, pareri tecnici, critiche sottili s'avvicendano sulle bocche di questi combattenti, pronte al riso gioviale come alla discussione serena, all'obiezione imprevista, alla staffilata cruda. Si è tra uomini.
Un mosaico di caratteri
Gente d'ogni parte d'Italia, abbiamo detto, i nostri bombardieri; ed anche - aggiungiamo - d'ogni condizione sociale e di ogni tipo e temperamento.
Fianco a fianco siedono intorno al lungo tavolo della mensa o si piegano su quello dell'«Ufficio Operazioni», fianco a fianco procedono in pattuglia o picchiano sul nemico, l'impeccable gentiluomo di antica famiglia illustre e il rude, schietto figlio del popolo, il padre di famiglia e lo scapolo impenitente, il pilotone anziano, incallito sui comandi e il pilotino dell'ultimo corso. C'è il carattere loquace e il taciturno, il pensoso e l'ameno, il metodico e l'impulsivo. C'è chi compie la sua missione con la distante freddezza con cui eseguirebbe un calcolo matematico, e chi vi si tuffa corpo e anima, in cerca di un eroico spirito di avventura.
Gente strana e diversa, dunque, che si capisce subito, o non più; ma gente resa tuttavia compatta dalla passione comune che la sovrasta. Nessuna vita riesce ad affratellare gli uomini più di quella che spartisce il rischio in parti uguali fra tutti come un pane santo, e mette a nudo l'animo di ciascuno di fronte agli altri e a sè medesimo, rendendolo memore ogni giorno della fragilità e dei limiti umani. Tale la vita di questi aviatori, che pur nella molteplicità che li distingue appaiono coerenti ed inseparabili come le tessere disuguali d'un unico volto di mosaico, che ha i lineamenti del coraggio, della fede e. della dedizione.
Un primato di guerra
L'aviatore raramente fa la guerra quando vuole lui, a un'ora prestabilita, come di solito i combattenti delle altre armi. Egli vive perpetuamente in attesa dello squillo che può chiamarlo e che certo lo chiamerà - fra un'ora, un giorno o un minuto - all'azione. A lungo andare impara così a vivere quasi staccato dal tempo, e soprattutto a non impiantare ipoteche sul futuro, come è vizio comune su questa terra. Lavora, si riposa, scherza e cerca di divertirsi quando può, ma non dimentica mai che deve venire lo squillo.
«Sempre i soliti quattro gatti!» Pochi, tra i distintivi dei nostri reparti, reggono il confronto in efficacia ed espressività con questo che innalza il 132° Gruppo «Baltimore». Detta insegna potrebbe ben essere presa a simbolo di tutta la nostra piccola, indomita aviazione operante.
E lo squillo, per questi combattenti, è l'allarme, dato generalmente da uno o più apparecchi della caccia, in perlustrazione o già in missione offensiva, i quali abbiano notato in territorio nemico un movimento di treni, o di mezzi motorizzati, o d'uomini, o d'imbarcazioni lungo il litorale, tale da giustificare l'intervento di una prima o di una successiva aliquota di nostri bombardieri. Dal momento dell'allarme il reparto incaricato dell'azione entra in energico movimento: bisogna essere al più presto sul nemico.
Ogni ritardo può dargli la possibilità di sfuggire o di concentrare la difesa. Già gli specialisti sono intorno ai velivoli, intenti agli ultimi controlli, mentre i piloti, infilata la combinazione di volo, gettano nelle ampie tasche a toppa sulle ginocchia i pochi oggetti "prescritti per le missioni», che possono riuscire utili nel malaugurato caso di un forzoso atterraggio in territorio nemico, insieme a qualche documento e fi qualche ricordo personale. In meno di mezz'ora dall'allarme gli agili bimotori decollano verso l'obbiettivo.
Tra le carte del Comando del Mediterraneo c'è una specie di graduatoria delle unità aeree che partecipano alla guerra nei Balcani.
Fanno parte di questa aviazione dei Balcani apparecchi americani «Liqhtnìnqs», veloci ed eleganti come rondini, apparecchi inglesi, apparecchi d'ogni tipo con piloti d'ogni nazionalità, apparecchi italiani pilotati da italiani e apparecchi americani e inglesi pilotati da italiani.
La graduatoria è fatta in base alle bombe lanciate, alla precisione con cui è stato colpito l'obiettivo, in base all'abilità di manovra nei decolli, negli atterraggi, nei ~'oli in formazione, ecc.
In testa alla suddetta classifica dell'Aviazione dei Balcani c'è lo Stormo «Baltimore» pilotato da piloti italiani, cobelligeranti.
La vita al campo
La vita, su questo come su ogni altro aeroporto di guerra, è dura: molto più di quanto non possa immaginare chi non la conosce. Ed è nonostante ciò, anzi, appunto per ciò, che il "morale» vi è incomparabilmente più elevato che altrove.
Lasciate a lungo un uomo, anche capace, seduto ad una scrivania, lontano così dal rischio come da ogni pietra di paragone tra la materia e lo spirito, stretto dalle mille piccole angustie della giornata cittadina, e difficilmente egli egli riuscirà a mantenersi immune dalla meschinità e dall'egoismo. L'animo ha bisogno, perché possa conservare ed esprimere le sue doti migliori, di difficoltà, di lotta, e talvolta anche di sofferenza, e tutto ciò ed altro ancora s'incontra su questo campo, soffocante e polveroso d'estate, fangoso e gelido d'inverno spazzato per il resto dell'anno dai furibondi venti balcanici, intorno a questi velivoli che hanno bisogno di cure più di un essere animato, e dalla cui resistenza dipendono vite umane, sotto queste tende che per pavimento hanno il nudo terreno, per W.C. la contigua vigna e per ospiti le zanzare, qualche rospo e la nebbia della notte; qui dove, mentre altri nello stesso momento esce dal teatro o dal cinema, o si congeda dopo la partita a "ponte", si cerca brancolando a lume di lanterna l'entrata del proprio rifugio, e quanto la si è trovata, cresciuti di mezzo palmo per la mota accumulata sotto le scarpe, e ci si infila nella branda, si trovano le lenzuola umide e qualche sbattito d'ala intorno al viso.
Esercitato dalle difficoltà e dalla lotta, talvolta anche dalla sofferenza e soprattutto dal rischio, l'animo dei bombardieri s'erge fieramente sopra la debolezza e la viltà della materia, e le domina. E, ciò che è ancora più straordinario, riesce a tener desta e viva nel suo profondo la virile vena dell'umorismo e dell'ottimismo. Eccoli, i nostri ragazzoni, raccolti a mensa intorno al lungo tavolo, uno di fronte all'altro, con davanti la tazzina del caffè, vuota, e tra le dita la sigaretta appena accesa. È il più lieto momento della giornata. Hanno dimenticato come per incanto nostalgie e preoccupazioni, ed anche le fitte dello stomaco insoddisfatto del pasto, spesso molto più frugale di quanto il loro giovanile appetito non richiederebbe. Ridono all'ultima freddura di G., un mattacchione esuberante, dalla mimica irresistibile. È quasi un'usanza, questa delle freddure: non appena uno ha terminato la sua, un altro è pronto a continuare la serie. Ma ecco, sj fa un po' dj silenzìo, e come l'attesa diventa più viva si ode la voce di P., che comincia una delle sue strane storie.
Una storia simbolica
incontro in un ufficio un collega di lì, antica conoscenza.
Dopo avermi riconosciuto con un po' di fatica, mi domandò dove fosse attualmente il mio reparto.
- A Canne - rispondo io.
- A Canne!? - Lui casca dalle nuvole. - F che diavolo fate, lì?
P. fa una pausa d'intelligenza, stringe un po' gli occhi e tira una boccata.
- Ma sai... - dico - facciamo un campeggio ...
- Aaah! - Questa la beve subito. Fa un risolino: - Sempre fortunati, voi! ... E . vi divertite?
- Abbastanza. .....
«Questa mi è capitata la settimana scorsa, a Bari - racconta P. - Ero capitato alla Direzione X - due giorni di licenza per sbrigare una pratica un po' vecchiotta che mi riguardava - quando
- Ma ... - s'informa - Cosa avete, lì?
Soltanto le tende?
- È tutto organizzato - lo rassicuro.
- Che tende! Ville requisite.
Lui sembra convinto. Ma dopo un po' ha un'idea. Dice:
- E il tempo, come lo passate?
- Vicino c'è il. mare. Facciamo il bagno ogni giorno. Non vedi che tintarella? Cabine e tutto, naturalmente.
- Accidenti! ... Eee - fa col solito risolino - donne?
- A strafottere.
- Per forza!! - fa lui. Poi, riassumendo: - Insomma una compagnia in gamba, allegra.
- Sì e no. /I guaio è che ogni tanto capita qualche incidente.
- Grave?
- Abbastanza. Ci sono le barche, sono ragazzi, le prendono e vanno al largo. O non sanno nuotare, o hanno mangiato da poco, le barche si rovesciano, e affogano. Non tornano più.
Mi guarda imbambolato, poi scuote la testa con disapprovazione:
- Le solite imprudenze ...
- Appunto, imprudenze. Ma che
vuoi farci? sono ragazzi. Comunque abbiamo deciso di andarcene da lì; anche dal mare ci si stufa. Dove, non sappiamo ancora bene, ma pare a Cortina d'Ampezzo. - E con questo lo lasciai, non senza avergli prima letto sul viso una sincera smorfia d'invidia».
P. tace. Qualcuno ride sottovoce, gli altri hanno sulle labbra un sogghigno sarcastico. Solo il Comandante è serio, immerso in qualche suo pensiero oscuro.
T. Andrei
Il costante pensiero alla famiglia lontana, residente in territorio occupato dalle truppe tedesche, nella speranza, anche se reputata vana, che esso, tramite la Croce Rossa Internazionale, possa giungere a destinazione.