martedì 26 dicembre 2017

I BOMBARDIERI DELLO STORMO "BALTIMORE" da aeronautica Marzo 1985 di T. Andrei

I BOMBARDIERI DELLO STORMO "BALTIMORE" da aeronautica Marzo 1985
di T. Andrei 




L'Aeroporto sulla necropoli 

A metà strada fra Barletta e Canosa, in un punto della pianura solitaria solcata dal pigro Ofanto e recinta dalle piatte Murge, non lungi da un antichissimo campo di battaglia dal tragico nome che gli scavi hanno ormai ridotto ad una immensa necropoli, i reparti dello Stormo da bombardamento «Baltimore» hanno piantato le loro tende. 

Ve le hanno piantate non nel senso metaforico, come usa dirsi talvolta, volendo significare lo stabilirsi in un dato luogo comunemente fornito dei necessari, più o meno comodi impianti, ma nel senso elementare della frase, con paletti, rampini, anelli e funi su pertiche di legno infisse nel nudo suolo; tende dagli orli svolazzanti entro cui s'ingolfa l'aria delle stagioni e sui cui si gettano, per tenerli calmi, paiate di terra. 

Un uliveto, una vigna, una strada carrareccia, al di là il campo e, sopra d'essi, il cielo: tali i quadri del mondo - breve nelle dimensioni ma dilatato oltre i suoi confini dalle diuturne evasioni alate e dalla tensione degli spiriti - in cui vivono da mesi questi uomini, figli di ogni parte d'Italia, venuti qui, lontani dai loro affetti e soli, a fare la guerra. 

Tornare dopo qualche tempo in un aeroporto di guerra desta sempre nell'animo un'impressione profonda, singolare.

Una diversa atmosfera 

L'atmosfera che vi si respira non è simile ad alcun'altra: ci si sente in un mondo diverso, quasi che la vita di tutti i giorni sia distante non un breve tratto di strada, ma centinaia di chilometri. 

La visione della città, con i suoi volti promiscui, con le sue voci discordi, s'allontana e scompare non appena, entrati nel campo, ci si imbatte in un crocchio di aviatori. Chiunque si sia, da dovunque si venga, purché collega, le mani di tutti sono pronte a serrare la vostra. Non si intavola un discorso: sembra se ne continui uno già cominciato tempo addietro, non si sa dove. L'ospitalità, questa perla delle solitudini, vi è offerta semplicemente, senza limitazioni, ed è il primo dono di cui si beneficia e il più ricco che si possa desiderare. 

Subito si entra a far parte della comunità. Si rievocano episodi di tempi andati, nomi e figure di gregari e di comandanti, si scambiano domande e risposte su colleghi cari al ricordo: come l'hai visto, che faceva, quando si farà vivo. Ogni persona nota occupa, nell'opinione comune, una posizione particolare, a seconda delle sue qualità, e il giudizio è un giudizio sereno e comprensivo, ma difficilmente removibile. Aneddoti allegri, colti dalla realtà, memorie gravi, pareri tecnici, critiche sottili s'avvicendano sulle bocche di questi combattenti, pronte al riso gioviale come alla discussione serena, all'obiezione imprevista, alla staffilata cruda. Si è tra uomini. 

Un mosaico di caratteri 

Gente d'ogni parte d'Italia, abbiamo detto, i nostri bombardieri; ed anche - aggiungiamo - d'ogni condizione sociale e di ogni tipo e temperamento. 

Fianco a fianco siedono intorno al lungo tavolo della mensa o si piegano su quello dell'«Ufficio Operazioni», fianco a fianco procedono in pattuglia o picchiano sul nemico, l'impeccable gentiluomo di antica famiglia illustre e il rude, schietto figlio del popolo, il padre di famiglia e lo scapolo impenitente, il pilotone anziano, incallito sui comandi e il pilotino dell'ultimo corso. C'è il carattere loquace e il taciturno, il pensoso e l'ameno, il metodico e l'impulsivo. C'è chi compie la sua missione con la distante freddezza con cui eseguirebbe un calcolo matematico, e chi vi si tuffa corpo e anima, in cerca di un eroico spirito di avventura. 

Gente strana e diversa, dunque, che si capisce subito, o non più; ma gente resa tuttavia compatta dalla passione comune che la sovrasta. Nessuna vita riesce ad affratellare gli uomini più di quella che spartisce il rischio in parti uguali fra tutti come un pane santo, e mette a nudo l'animo di ciascuno di fronte agli altri e a sè medesimo, rendendolo memore ogni giorno della fragilità e dei limiti umani. Tale la vita di questi aviatori, che pur nella molteplicità che li distingue appaiono coerenti ed inseparabili come le tessere disuguali d'un unico volto di mosaico, che ha i lineamenti del coraggio, della fede e. della dedizione. 

Un primato di guerra 

L'aviatore raramente fa la guerra quando vuole lui, a un'ora prestabilita, come di solito i combattenti delle altre armi. Egli vive perpetuamente in attesa dello squillo che può chiamarlo e che certo lo chiamerà - fra un'ora, un giorno o un minuto - all'azione. A lungo andare impara così a vivere quasi staccato dal tempo, e soprattutto a non impiantare ipoteche sul futuro, come è vizio comune su questa terra. Lavora, si riposa, scherza e cerca di divertirsi quando può, ma non dimentica mai che deve venire lo squillo.




«Sempre i soliti quattro gatti!» Pochi, tra i distintivi dei nostri reparti, reggono il confronto in efficacia ed espressività con questo che innalza il 132° Gruppo «Baltimore». Detta insegna potrebbe ben essere presa a simbolo di tutta la nostra piccola, indomita aviazione operante. 



E lo squillo, per questi combattenti, è l'allarme, dato generalmente da uno o più apparecchi della caccia, in perlustrazione o già in missione offensiva, i quali abbiano notato in territorio nemico un movimento di treni, o di mezzi motorizzati, o d'uomini, o d'imbarcazioni lungo il litorale, tale da giustificare l'intervento di una prima o di una successiva aliquota di nostri bombardieri. Dal momento dell'allarme il reparto incaricato dell'azione entra in energico movimento: bisogna essere al più presto sul nemico. 


Ogni ritardo può dargli la possibilità di sfuggire o di concentrare la difesa. Già gli specialisti sono intorno ai velivoli, intenti agli ultimi controlli, mentre i piloti, infilata la combinazione di volo, gettano nelle ampie tasche a toppa sulle ginocchia i pochi oggetti "prescritti per le missioni», che possono riuscire utili nel malaugurato caso di un forzoso atterraggio in territorio nemico, insieme a qualche documento e fi qualche ricordo personale. In meno di mezz'ora dall'allarme gli agili bimotori decollano verso l'obbiettivo. 

Tra le carte del Comando del Mediterraneo c'è una specie di graduatoria delle unità aeree che partecipano alla guerra nei Balcani. 




Fanno parte di questa aviazione dei Balcani apparecchi americani «Liqhtnìnqs», veloci ed eleganti come rondini, apparecchi inglesi, apparecchi d'ogni tipo con piloti d'ogni nazionalità, apparecchi italiani pilotati da italiani e apparecchi americani e inglesi pilotati da italiani. 

La graduatoria è fatta in base alle bombe lanciate, alla precisione con cui è stato colpito l'obiettivo, in base all'abilità di manovra nei decolli, negli atterraggi, nei ~'oli in formazione, ecc. 

In testa alla suddetta classifica dell'Aviazione dei Balcani c'è lo Stormo «Baltimore» pilotato da piloti italiani, cobelligeranti. 

La vita al campo 

La vita, su questo come su ogni altro aeroporto di guerra, è dura: molto più di quanto non possa immaginare chi non la conosce. Ed è nonostante ciò, anzi, appunto per ciò, che il "morale» vi è incomparabilmente più elevato che altrove. 



Lasciate a lungo un uomo, anche capace, seduto ad una scrivania, lontano così dal rischio come da ogni pietra di paragone tra la materia e lo spirito, stretto dalle mille piccole angustie della giornata cittadina, e difficilmente egli egli riuscirà a mantenersi immune dalla meschinità e dall'egoismo. L'animo ha bisogno, perché possa conservare ed esprimere le sue doti migliori, di difficoltà, di lotta, e talvolta anche di sofferenza, e tutto ciò ed altro ancora s'incontra su questo campo, soffocante e polveroso d'estate, fangoso e gelido d'inverno spazzato per il resto dell'anno dai furibondi venti balcanici, intorno a questi velivoli che hanno bisogno di cure più di un essere animato, e dalla cui resistenza dipendono vite umane, sotto queste tende che per pavimento hanno il nudo terreno, per W.C. la contigua vigna e per ospiti le zanzare, qualche rospo e la nebbia della notte; qui dove, mentre altri nello stesso momento esce dal teatro o dal cinema, o si congeda dopo la partita a "ponte", si cerca brancolando a lume di lanterna l'entrata del proprio rifugio, e quanto la si è trovata, cresciuti di mezzo palmo per la mota accumulata sotto le scarpe, e ci si infila nella branda, si trovano le lenzuola umide e qualche sbattito d'ala intorno al viso. 

Esercitato dalle difficoltà e dalla lotta, talvolta anche dalla sofferenza e soprattutto dal rischio, l'animo dei bombardieri s'erge fieramente sopra la debolezza e la viltà della materia, e le domina. E, ciò che è ancora più straordinario, riesce a tener desta e viva nel suo profondo la virile vena dell'umorismo e dell'ottimismo. Eccoli, i nostri ragazzoni, raccolti a mensa intorno al lungo tavolo, uno di fronte all'altro, con davanti la tazzina del caffè, vuota, e tra le dita la sigaretta appena accesa. È il più lieto momento della giornata. Hanno dimenticato come per incanto nostalgie e preoccupazioni, ed anche le fitte dello stomaco insoddisfatto del pasto, spesso molto più frugale di quanto il loro giovanile appetito non richiederebbe. Ridono all'ultima freddura di G., un mattacchione esuberante, dalla mimica irresistibile. È quasi un'usanza, questa delle freddure: non appena uno ha terminato la sua, un altro è pronto a continuare la serie. Ma ecco, sj fa un po' dj silenzìo, e come l'attesa diventa più viva si ode la voce di P., che comincia una delle sue strane storie.




Una storia simbolica 

incontro in un ufficio un collega di lì, antica conoscenza. 

Dopo avermi riconosciuto con un po' di fatica, mi domandò dove fosse attualmente il mio reparto. 

- A Canne - rispondo io. 

- A Canne!? - Lui casca dalle nuvole. - F che diavolo fate, lì? 

P. fa una pausa d'intelligenza, stringe un po' gli occhi e tira una boccata. 

- Ma sai... - dico - facciamo un campeggio ... 

- Aaah! - Questa la beve subito. Fa un risolino: - Sempre fortunati, voi! ... E . vi divertite? 

- Abbastanza. ..... 

«Questa mi è capitata la settimana scorsa, a Bari - racconta P. - Ero capitato alla Direzione X - due giorni di licenza per sbrigare una pratica un po' vecchiotta che mi riguardava - quando 

- Ma ... - s'informa - Cosa avete, lì? 

Soltanto le tende? 

- È tutto organizzato - lo rassicuro. 

- Che tende! Ville requisite. 

Lui sembra convinto. Ma dopo un po' ha un'idea. Dice: 

- E il tempo, come lo passate? 

- Vicino c'è il. mare. Facciamo il bagno ogni giorno. Non vedi che tintarella? Cabine e tutto, naturalmente. 



- Accidenti! ... Eee - fa col solito risolino - donne? 

- A strafottere. 

- Per forza!! - fa lui. Poi, riassumendo: - Insomma una compagnia in gamba, allegra. 

- Sì e no. /I guaio è che ogni tanto capita qualche incidente. 

- Grave? 

- Abbastanza. Ci sono le barche, sono ragazzi, le prendono e vanno al largo. O non sanno nuotare, o hanno mangiato da poco, le barche si rovesciano, e affogano. Non tornano più. 

Mi guarda imbambolato, poi scuote la testa con disapprovazione: 

- Le solite imprudenze ... 

- Appunto, imprudenze. Ma che 

vuoi farci? sono ragazzi. Comunque abbiamo deciso di andarcene da lì; anche dal mare ci si stufa. Dove, non sappiamo ancora bene, ma pare a Cortina d'Ampezzo. - E con questo lo lasciai, non senza avergli prima letto sul viso una sincera smorfia d'invidia». 

P. tace. Qualcuno ride sottovoce, gli altri hanno sulle labbra un sogghigno sarcastico. Solo il Comandante è serio, immerso in qualche suo pensiero oscuro. 

T. Andrei 


Il costante pensiero alla famiglia lontana, residente in territorio occupato dalle truppe tedesche, nella speranza, anche se reputata vana, che esso, tramite la Croce Rossa Internazionale, possa giungere a destinazione. 

sabato 16 dicembre 2017

Bovolone un campo di fortuna da aeronautica Luglio 1995

Bovolone, un campo di fortuna da aeronautica Luglio 1995



di Andrea Lombardi 



Una veduta del campo di Bovolone con due alianti scuola 


Sulla nascita di Bovolone, in seguito classificato "Campo m7 di fortuna" ed attualmente dislocato nel sedi me del 72° Gruppo Intercettori Teleguidati "Bovolone", non si hanno notizie precise. Per avere informazioni ci si è rivolti agli anziani del luogo, i quali hanno tramandato ai figli notizie frammentarie e non sempre coincidenti o del tutto attendibili. Prova sicura della sua esistenza è data da una pista di volo che collegava i paesi di Bovolone e Cà degli Oppi e, sino a qualche decennio fa, prima che l'abitato la seppellisse con il proprio cemento, era ancora visibile. 

A sentire gli anziani, pare che la pista fosse nata durante la prima guerra Mondiale, quando tutto il Veneto altro non era che un campo di volo per aeroplani. Probabilnente il nome di "campo di fortuna" derivava da questa origine. Terminata la guerra, il campo fu dismesso sino al 28 aprile 1929 quando, con Decreto Ministeriale n.2283, fu ufficialmente istituito il "Campo di fortuna" di Bovolone. Questo "campo" rimase inattivo per un decennio circa, sino a quando, sull'onda dell'entusiasmo per l'aviazione italiana ed i suoi successi in campo internazionale, non si sviluppò anche da noi la passione per il volo a vela. Come ricordato da Euteneuer, l'interessamento da parte ufficiale aveva preso corpo nel 1927 con l'istituzione della scuola di volo librato di Pavullo, nell'appennino tosco-emiliano. A questa scuola se ne aggiunsero delle altre, attraverso un'organizzazione premilitare aeronautica affidata essenzialmente alla GIL (Gioventù italiana del Littorio), che operava sui giovani suddividendoli in categorie organizzate a seconda dell'età e selezionandoli per una più specifica e congeniale destinazione nelle tre forze armate. Nell'ambito di questa struttura esistevano due scuole di volo a vela "veleggiato" (ovvero con alianti di caratteristiche più avanzate) rispettivamente a Sezze Littorio (oggi Sezze Romano) e Asiago, gestite dalla RUNA (Reale Unione Nazionale Aeronautica, nome assunto nel 1935 dal R. Aero Club d'Italia). Molto più numerose erano invece le scuole di volo "Librato", come Pavullo, Poggio Renatico, e, appunto, Bovolone: a quest'ultima vennero assegnati due veleggiatori di categoria "Allievo C". 

Busta intestata della RUNA di Bovolone 

Anche se per necessità militare nel 1940 fu necessario abbandonare alcuni campi di aviazione, l'attività continuò migliorandone l'organizzazione. Rimasero in funzione i campi di S. Caterina, Sezze, Pavullo, Asiago e, ancora, Bovolone dove l'attività proseguì per merito del maresciallo pilota Gianni Toson. Grande appassionato di volo a vela, con la collaborazione del verricellista Luigi Tesini, del motorista Rizzotti, di Luigi Rezzati ed al tri, tutti di Bovolone, conquistò con un aliante CAT.2()1un primato nazionale e uno mondiale. Questa impresa, come testimoniato dal quotidiano "L'Arena" del 24 e 26 agosto 1941, fruttò a Toson una medaglia d'oro ed una frase che lo avrebbe ricordato negli anni a venire come "quello dei tre giri della morte". Tra i molti giovani brevettatisi a Bovolone è possibile ricordare i nomi di Alberto Simone e Gastone Zanetti. Questo non significa fare una impossibile discriminazione fra persone più o meno importanti: si tratta semplicemente degli unici tuttora viventi che mi siano personalmente conosciuti. 

I ricordi di Alberto Simone su questo periodo che egli stesso definisce "felice" non sono molti ed anche quei pochi sono molto labili. Egi ricorda per esempio come nell'hangar dell'aeroporto fosse ricoverato il Saiman 202 del famoso corridore automobilista Tazio Nuvolari. Altri ricordi di quel periodo sono due libretti personali dei voli, un foglio intestato del "Reparto Alianti" del "R.o Aeroporto BOVOLONE (Verona)" ed un foglio ed una busta con l'intestazione della "Scuola Volo senza Motore", 

L'ingegner Gastone Zanetti, tuttora vivente a Nogara (Verona) è ancor oggi ricordato per una sua iniziativa originale e, diciamolo, creativa. Egli ideò, progettò, costruì e collaudò infatti il vel egg ìa t or e "S.Rocco", immatricolato I-ZANE. Il veleggiatore del giovane e spericolato ingegnere destò allora grande impressione, tanto che sia "L'Arena" che "L'Avventuroso" pubblicarono all'epoca alcuni articoli in proposito. Nel 1941 per il suo battesimo dell'aria si mosse anche una troupe dell'Istituto Luce. Nonostante l'improvvisa celebrità Zanetti continuò egualmente a prendere lezioni di volo e ascoltare i consigli che l'esperto Toson gli forniva. In alcune foto che l'ingegner Zanetti conserva assieme a vari calcoli e libretti lo si scorge seduto nell'abitacolo del veleggiatore mentre ascolta gli ultimi consigli. In una seconda foto si nota un'automobile senza sportelli e con il verricello installato. La terza foto è però quella che toglie ogni dubbio sull' esistenza di questo "Campo di fortuna": sul terreno si legge a lettere cubitali ... VOLON ... , parte del nome Bovolone scritto in grande perché fosse ben visibile dall'alto per facilitare l'identificazione del campo e della pista di atterraggio. 

La passione volovelistica dell'ingegner Zanetti si interruppe solamente con lo scoppio della 2a Guerra Mondiale ed il suo invio alla Scuola di Caserta per il corso di ufficiale pilota. Del "S. Rocco" non si seppe più nulla: pare che i tedeschi lo abbiano preso e portato in Germania. 

Ancora oggi, alla invidiabile età di oltre 70 anni, nei suoi pochi momenti liberi Zanetti torna ad assaporare la mai dimenticata ebbrezza del volo compiendo dei giri sulle Alpi con piccoli velivoli da turismo. Oggi come allora questa sua passione lo porta alla ribalta della cronaca locale, con un ennesimo articolo su "L'Arena" del 5 ottobre 1984. L'entrata in guerra dell'Italia determinò lo scioglimento della scuola di volo di Bovolone, anche perché tutti gli uomini erano stati chiamati dalla Patria a compiere il proprio dovere. 

Tuttavia l'aeroporto non fu chiuso perché per l'Aeronautica era ancora utilizzabile. Per questo ancora nel 1943 è registrata l'imposizione delle servitù militari. Dopo l'armistizio il campo fu utilizzato dai tedeschi come base aerea allo scopo di contrastare l'azione degli alleati. Ma questa è un'altra storia. 

mercoledì 6 dicembre 2017

Il Volo Roma Addis Abeba del 1939 tratto da Aeronautica del GENNAIO 1996

IL VOLO ROMA- ADDIS ABEBA DEL 1939

tratto da aeronautica Gennaio 1996


Agli inizi del 1939 il giornale "Il Popolo d'Italia" di Milano mise in palio una targa per il miglior tempo sul percorso aereo Roma-Addis Abeba, da tre anni capitale dell'impero italiano in Africa Orientale. L'iniziativa aveva diversi scopi, dalla celebrazione del collegamento tra le due capitali, quella nazionale e quella dell'Impero, al collaudo per una eventuale nuova linea aerea civile della quale si prevedeva la necessità per i collegamenti, che si stavano intensificando, con l'Africa Orientale. 

Il BR. 20L "Santo Francesco"


Alla gara aderirono subito vari equipaggi, dei quali il primo a iscriversi e partire fu quello composto da Leonardo Bonzi e Giovanni Zappetta che, su un monoplano da turismo Nardi F.N. 305D con motore da 180 CV, coprirono il percorso di 4500 km, in 18 ore e 49 minuti alla media oraria di 240 km/h. Era il primo record. 

Il secondo volo, che venne appoggiato oltre che dal "Popolo d'Italia" anche dal quotidiano milanese "La Stampa" di Torino, venne effettuato il 6 e 7 marzo 1939 con un equipaggio di prim'ordine composto dal capitano Giuseppe (Peppo) Mazzolti, di 28 anni e con ottimi precedenti di Accademia, dal secondo pilota tenente Ettore Valenti, che sostituì il maresciallo Francesco Fortunato inizialmente prescelto, dal maresciallo radiotelegrafista Silvio Pinna e dal motorista della Fiat Guerrino Guerrini. Come comandante dell'equipaggio figurava Maner Lualdi, ventisettenne giornalista già affermato e con un notevole curriculum di volo alle spalle. 

Quando Maner Lualdi ottenne dagli ambienti politici e militari il benestare per effettuare il volo senza scalo RomaAddis Abeba scelse per la formazione dell'equipaggio come era logico, tra i piloti e i tecnici di sua conoscenza. Il capitano Mazzotti fu il primo invitato avendo già partecipato con Lualdi al tentativo di record Roma-Tokio, finito si piuttosto male, ma servito anche come collaudo sia dell'aereo che dell'equipaggio. Seguirono poi il maresciallo Francesco Fortunato e gli altri. Dopo la rinuncia di Fortunato a partecipare all'impresa, Mazzotti scelse subito, tra i piloti di sua fiducia, Ettore Valenti. Mazzotti e Valenti erano reduci dall'addestramento e dall'attività aerea dei "Campi della Brughiera" dove si era cementato tra loro un fraterno legame. 

Quei cinque campi della Brughiera, ricorda l'autore, così tanto legati alla storia dell'aviazione italiana e sui quali numerosi aviatori, molti dei quali divenuti poi famosi, hanno messo le ali: Lonate Pozzolo, Cameri, Vizzola Ticino, Cascina Costa, Malpensa. 

L'aereo ritenuto idoneo alla transvolata fu il Fiat BR.20L, sostanzialmente un bombardiere BR.20 modificato con l'asportazione delle apparecchiature belliche che lo appesantivano inutilmente dotato di serbatoi supplementari per ampliarne l'autonomia: così modificato poteva sollevare un carico superiore al proprio peso, condizione indispensabile in quella occasione per il forte sovraccarico di combustibile imbarcato. Il B.R. 20 era propulso da due motori radiali Fiat A.80 da 1.000 CV ciascuno grazie ai quali potè arrivare, durante la transvolata, ad una velocità di 475 km/h. La strumentazione era quella degli aerei da bombardamento del tempo: telebussola giroscopica, un contagiri sperimentale e la stazione radio telegrafica e radiogoniometrica erano quelle in uso alla Regia Aeronautica. 

Furono fatti vari voli di collaudo sia per controllo della meccanica dell'aereo sia dell'affiatamento dell'equipaggio; le prove di omologazione dettero ottimi risultati e confermarono l'affidabilità del B.R. 20 L, che fu immatricolato I-FIAT e dedicato al Santo di Assisi "Santo Francesco". Quattro mesi prima con lo stesso aereo era stato tentato il record sul percorso Rorna-Tokio di oltre 12.000 km che peraltro non ebbe, come primato, molta fortuna. 

Alle ore 22,25 del 6 marzo 1939 vi fu finalmente la partenza dall'aeroporto di Guidonia. Ma lasciamo la descrizione del volo allo stesso Peppo Mazzotti così come riportata dal giornalista Santi Corvaja sul "Giornale di Sicilia" del25 luglio 1979, in occasione del quarantennale dell'impresa: 
Il Nardi FN.305D

"La scelta del velivolo, ricorda Peppo Mazzotti, cadde sul magnifico bimotore allora già ai reparti dell' Aeronautica: il "BR 20" vero purosangue della Casa torinese, progettato dall'ing. Celestino Rosatelli, creatore di macchine d'una robustezza proverbiale. 

L'aereo era stato modificato per lo scopo: asportata la torretta della mitragliatrice di prua e tutta l'incastellatura bellica, avevano trovato posto serbatoi più capaci per un'autonomia di 5.000 chilometri. 

I due motori Fiat A.SO di complessivi 2000 HP. consentivano di sollevare in aria un carico di circa 5000 kg. mentre il peso a vuoto era di 4500 kg. 

Velocità massima 450-475 km/h a 4000 m. di quota. La strumentazione di bordo era quella in dotazione ai velivoli di serie da bombardamento. 

A Guidonia imbarcammo grossi pacchi di giornali, "La Stampa" e "Il Popolo d'Italia", appositamente stampati con la data del 7 marzo 1939. 

Avevamo ottenuto il permesso di attraversare l'Egitto e il Sudan a condizione di seguire là' rotta Roma-Cairo-Aswàn-Kartum-Oallabat-Addis Abeba. Però tale "sentiero" ci avrebbe allungato il volo di qualche centinaio di chilometri, mentre la via più breve, per ortodromia, va da Derna a Cufra, al suo traverso dritto, supera Serir Nerastro e quindi entra in Etiopia attraverso le Ambe di Goggiàm. 

E fu questa la rotta da noi scelta, in barba agli inglesi che allora comandavano in Egitto. Alle l,50 del 7 marzo sorvolammo Apollonia (Libia) in perfetto orario sulla tabella di marcia. 

Inoltratici sul deserto, la radio cessò di esserci utile per il fenomeno conosciuto come "effetto notte" che allora creava difficoltà alla navigazione aerea.
Il Cap. Mazzotti ed il ten. Valenti scendono dall'aereo ad Addis Abeba

A Roma sentivano le nostre chiamate, mentre noi non sentivamo loro. 

E un momento magico per gli aviatori italiani. Bisogna guadagnare chilometri su chilometri nel buio e nel silenzio più ermetici. 

Lualdi si prepara alle fatiche "ufflciali" dell'indomani facendo una dormitina sul lettino, in fusoliera; ma anche Pinna, disoccupato, si concede il pisolino, pur restando seduto al suo sgabello. 

Mazzotti guarda la carta di navigazione e le stelle, la bussola e l'altimetro, Valenti saldamente attaccato al volantino, Guerrini ha solo un occhio chiuso ma le orecchie aperte sul suono dei motori. 

Soffia un forte ghibli (vento caldo da sud) che rallenta la velocità del "BR 20". Ciò costringe i piloti a salire di quota per preservare dalla sabbia impalpabile i motori privi di filtri. Alle 5,25 l'aereo è al traverso di Wadi-Halfa la cui stazione radio, come d'accordo, continua a fornire i suoi rilevamenti. 

All'alba si sveglia Lualdi e Guerrini distribuisce del cognac per festeggiare il Nilo. L'aereo si mette su rotta bussola 176. Cominciano le prime chiamate e i primi messaggi augurali che mandano su tutte le furie l'attento Pinna. 

Anche quando giunge il saluto del Duca d'Asta, vicerè d'Etiopia. 
La targa messa in palio per il volo 

Ad Addis Abeba, dopo 4575 chilometri, il trionfo attende i valorosi piloti e specialisti italiani. 

Il volo fruttò all'equipaggio la "targa" messa in palio dal "Popolo d'Italia e l'iscrizione dei nomi nel libro d'oro dei primatisti internazionali. 

Ma non era finita. Perché nel volo di ritorno gli inglesi fecero pagare agli uomini del "BR 20" la "contravvenzione" dell' andata. 

Lo spassoso episodio, Mazzotti lo ricorda così: "Giunti al Cairo, dove atterrammo, fummo invitati a starcene agli arresti in un albergo del centro, che noi regolarmente bigiammo per andarci a vedere lo spettacolo del corteo reale di Faruk, succeduto al padre morto da poche settimane e che era un sincero amico dell'Italia. 

Grazie all'intervento del nostro ambasciatore Vezzolini e del governatore della Libia, Italo Balbo, l'incidente fu risolto subito e senza strascichi, permettendoci di proseguire il volo verso la madrepatria."