domenica 29 ottobre 2017

Un Vivaio di piloti di Leonardo Algardi

da Aeronautica n.11 Dicembre 1995:
 

Un Vivaio di piloti

di Leonardo Algardi


Che incoraggiare il volo fra i giovani avesse negli anni Trenta lo scopo concreto di incrementare il vivaio dei piloti con sempre nuove leve era risaputo, ma io ne ebbi prova tangibile attraverso uno dei documenti che dovevano entrare a fare parte del mio archivio aeronautico, Fu allorché, essendomi rivolto nel 1937 al competente gerarca del Partito per essere aiutato a conseguire il brevetto di secondo grado, che abilitava al pilotaggio di aerei da turismo, ne ebbi la seguente risposta: « ... nell'inviarti il più vivo elogio per la passione che ti spinge verso il volo, sono spiacente di doverti comunicare che non mi è possibile favorirti, giacché questa Sezione ha per scopo di fare conseguire il brevetto solamente a coloro che siano idonei al pilotaggio militare ... »

In effetti, non avevo più l'età!


La copertina di un opuscolo di propaganda del Reale Aero Club

Ero, infatti, già al momento di andare sotto le armi, quando quanti erano già in possesso del brevetto e di un idoneo titolo di studio potevano prestare servizio come sottotenenti di complemento, tentando anche la via dell'Accademia Aeronautica. Da altro documento, il regolamento della Scuola Idrovolanti dell'Aerocentro Ligure da Turismo,gestita dall'Aero Club di Genova, emerge che" ... dopo il conseguimento del brevetto di pilota, se ( . .il giovane .. ) ha già compiuto il servizio militare, avrà il diritto di entrare nella Riserva Aeronautica e, come tale, di compiere annualmente dieci ore di volo presso le Squadriglie da Turismo Aereo, percependo un premio di Lire 1.000 da parte del Ministero dell'Aeronautica ... " Mille lire, s'intende di 55 anni or sono!

A quell'epoca i giovani piloti brevettatisi tramite gli aero club non solo non avevano quindi il problema del costo dell'ora di volo ai fini del mantenimento del titolo, ma erano addirittura spesati attraverso una sorta di "borsa di studio". Dallo stesso documento emerge anche come i giovani brevettati piloti da turismo prima della chiamata alle armi avessero anch'essi diritto di compiere le dieci ore di volo annuali per allenamento, nonché di percepire il premio.

Ovviamente, dato che, come oggi, soltanto i maschi sarebbero potuti divenire piloti militari, le donne erano escluse a priori da qualsiasi provvidenza. "In quanto al personale femminile - precisava il regolamento degli aerocentri da Turismo - poiché vigono sempre, fino a nuovo ordine, le disposizioni a suo tempo emanate, che vietano ad esse l'ammissione alle Scuole di pilotaggio civile - è ovvio che non possono, naturalmente, essere accettate le domande di visita inoltrate allo scopo anzidetto. Se trattasi, però, di donne straniere, le domande dovranno pervenire al Ministero dell'Aeronautica, che deciderà sull'eventuale accoglimento".

Quella del premio in denaro per l'allenamento annuale non era la sola concreta provvidenza a favore dei piloti da turismo aereo di sesso maschile: il Ministero dell'Aeronautica faceva ancora di più, contribuendo con il 50% al prezzo di apparecchi leggeri di costruzione italiana e nuovi di fabbrica. In tal modo, se un velivolo leggero veniva a costare 50.000 lire, l'acquirente ne sborsava soltanto la metà. (Si pensi che nel 1929 un'automobile media come la "Fiat 503" veniva a costare intorno alle 30.000 lire). Con tale misura si raggiungevano due risultati: quello di sostenere economicamente l'industria aeronautica nazionale e quello di dare ai piloti privati la possibilità di diventare proprietari di un apparecchio. Dopo di'che, per di più, si poteva anche beneficiare dell'hangaraggio gratuito.

, -

Questa politica aeronautica presupponeva un'adeguata disponibilità di apparecchi leggeri. Verso la fine degli anni '20, invece, l'Italia era ancora tributaria del mercato estero e, più da vicino, di quello europeo, dove, specialmente in Inghilterra e in Francia, la costruzione di aerei da turismo avveniva già in maniera industriale. Tanto per tornare all'esempio di Genova, il locale Aero Club era dovuto ricorrere a due biplani britannici, i famosi De Havilland Moth (Tignola) che, muniti di "scarponi", erano stati ospitati in una rimessa motonautica ricavata sotto la strada di corso Italia. al Lido d'Albaro che, quando l abitato non si era ancora esteso fin là. era stata teatro dei primi voli dei pionieri dell'aria nel cielo della città.

Il problema di quegli anni era compendiato nello slogan dare ali alla Patria", Prima di allora i progettisti di apparecchi per l aviazione economica non 'erano mancati. a partire da Aristide Faccioli, che nel lontano 1909 aveva realizzato il primo velivolo a motore costruito in Italia, un minuscolo triplano munito di motore da 25 HP, Seguirono i fratelli Errore e Umberto Ricci, che nel 1919 avevano costrui ro essi pure un triplano. il "Ricci 6", che, azionato da un motore da -lo HP. era di proporzioni talmente ridotte da essere considerato il più piccolo aeroplano del mondo di quei tempi. Il 1919 trova un terzo triplanino. quello di Emilio Pensuti, costruito dalla "Breda ed equipaggiato con motore da 40 HP, Nello stesso anno volava 1"'.\1.16". un biplano progettato da Alessandro To n in i , costruito dalla "Macchi" e azionato da un motore da 40 HP, Il 1923 v id e poi il "Rondine" di Giovanni Pegna, un monoplano azionato da un motore di appena 6 HP.

Come si vede, si trattava in tutti i casi, di piccoli velivoli a bassa potenza che, se non fosse per il peso che i motori a scoppio avevano allora, rientrerebbero oggi tra gli ultraleggeri. Alcuni degli apparecchi che abbiamo ricordato, come 1"'R,6" dei fratelli Ricci, l "'M, 16" di Tonini per la Macchi, il triplanino "Breda-Pensuti", avevano partecipato nel luglio 1920, sull'aeroporto milanese di Taliedo, ad un concorso, indetto l'anno prima della Lega Aerea Nazionale, per aerei leggeri da turismo, Un precedente quindi c'era stato ed allora aveva raggiunto lo scopo, anche se non commercialmente, giacché l'apparecchio che aveva vinto il concorso, un modello dell"'M.16" munito di motore da 50 HP, andò venduto in venti esemplari agli Stati Uniti ma non si affermò in Italia.

Quando pochi anni dopo la "Macchi", sull'onda di questo primo uccesso, realizzò il biposto a doppio comando M,20, sempre in legno e tela, azionato da un motore Anzani da 45 HP, munito di carrello a prova d'atterraggio anche su terreni sconnessi, con la possibilità di essere trasformato in idrovolante, si pensò che, naturalmente aggiornando i parametri, ci si avvicinava al velivolo per il vero e proprio turismo aereo e quindi rispondente alla pianificazione di nuove leve di piloti per la Riserva Aeronautica,

Ma i tempi erano cambiati e per formare nuovi vivai di giovani aviatori occorreva una generazione di apparecchi leggeri più moderni, soprattutto nel senso che, disponendo ormai il mercato di motori a scoppio di minor peso, era possibile aumentare la potenza e migliorare le prestazioni di volo, Fu così che nel gennaio del 1928 il Ministero dell'Aeronautica, d'intesa con il Reale Aero Club d'Italia, che nel frattempo aveva assorbita la Lega Aerea Nazionale, bandì un concorso fra le industrie aeronautiche nazionali per la realizzazione di un aeroplano da turismo e scuola che doveva essere biposto ed avere una potenza non superiore a 100 HP.

E' appunto da tale concorso che uscì quella serie di apparecchi leggeri italiani che negli anni '3 O da una parte formarono nuove generazioni di giovani piloti e dall'altra permisero a celebri aviatori dell'epoca - da Francis Lombardi a Vittorio Beonio-Brocchieri - di realizzare grandi raid aero turistici intercontinentali. Chi volava in quegli anni non può non ricordare il "Eia t-ASc l " e il "Breda Ba,15", che vinsero il concorso del Ministero dell'Aeronautica, il "Caproni Ca.100", presto diventato popolare come "Caproncino", il "Romeo Ro.5", il "Macchi M.70.

Con la disponibilità dei nuovi apparecchi leggeri di costruzione nazionale, mentre gli Aero Club provinciali potevano provvedere alla formazione di vivai di giovani piloti, per l'istruzione di aviatori al di fuori dei ranghi militari venivano costituiti, ad iniziativa degli stessi Aero Club, gli Aerocentri da Turismo, Subito dopo un primo Centro, promosso a Milano da Ferretti di Castelferretto, Piero Magni, pioniere delle costruzioni aeronautiche sportive, creò a Genova l'Aerocentro Ligure da Turismo dotandolo di due "Caproncini" a galleggianti che vennero così ad affiancarsi ai vecchi e tanto benemeriti "Tignola". Seguì a Roma l'Aerocentro del Littorio, che nel 1929 organizzò sull'aeroporto omonimo la prima Mostra Nazionale dell'Aeromobile da Turismo, nella quale furono esposti i velivoli leggeri appena usciti dal concorso del Ministero dell'Aeronautica,

Il monoplano ad ala bassa Breda A.2 immatricolato con la sigla I-BRIO
 
Ma per dimostrare sul piano pratico la validità dei nuovi aerei da turismo italiani era necessario metterli a confronto attraverso un'importante competizione di volo, Fu così che il Ministro dell'Aeronautica, Italo Balbo, ebbe l'idea di fare organizzare dall'Aero Club d'Italia, a partire dal 1930, il Giro Aereo d'Italia. La prima edizione, cui di anno in anno seguirono le altre, fu vinta dal colonnello Paride Sacchi su "Breda-BA.15". Con altri apparecchi, ugualmente provenienti da quel concorso, parteciparono gli aviatori che all'epoca erano più noti, da Arturo Ferrarin a Mario de Bernardi, entrambi su "Caproncino", e come

Francesco Agello su "Macchi M.70", oltre Francis Lombardi, Renato Donati, Nello Mazzotti, Leonida Robbiano. Alla competizione presero però parte anche i piloti delle Squadriglie da Turismo Aereo istituite in seno agli Aero Club provinciali per assicurare l'allenamento dei nuovi brevettati. Costituite nei primi mesi del 1930, dopo poco più di un anno le Squadriglie erano già 25 e disponevano di circa 200 apparecchi, avendo assicurato nel primo anno l'allenamento di un migliaio di piloti.

Nel 1932 io partecipai alla seconda edizione del Giro Aereo d'Italia quale "inviato speciale al seguito". Le mie testimonianze sono talmente ricche di episodi e aneddoti che potrebbero fare oggetto di un libro di interesse storico sull'aviazione italiana da turismo e sport: il saluto del Duce alle ore 5 di mattina del 17 luglio alla partenza dell'aeroporto del Littorio, la vivacità sempre leale dello spirito agonistico dei concorrenti, le loro avventure e disavventure nei cieli della Penisola, gli incontri con celebri aviatori italiani e stranieri, le simpatiche schermaglie tra noi corrispondenti di volo. 

                                
Il Fiat AS.1


La stampa, e non soltanto quella specializzata, ma anche quella quotidiana, dedicava a cavallo degli anni '20/'30, largo spazio a tutto ciò che riguardava l'aviazione leggera, trattando in modo esauriente quelli che erano i problemi di attualità del tempo e dando ampio risalto ai servizi speciali sulle competizioni aeroturistiche. Non vi era quotidiano degno di rispetto che non avesse un proprio redattore aeronautico. Basti ricordare Mario Massai per il "Corriere della Sera", Ernesto Quadrone per la "Stampa", Michele Intaglietta per la "Gazzetta del Popolo", Adone Nosari per il "Giornale d'Italia", Spartaco Trevisan per la "Gazzetta dello Sport". E, fra i tanti, chi scrive può dire "c'ero anch'io", allorché a Genova ero corrispondente aeronautico del "Giornale di Genova", del "Caffaro" e del "Lavoro", esaltando con slancio giovanile le gloriose imprese delle ali italiane nel mondo e accendendo di entusiasmo per il volo i miei giovani lettori.

martedì 24 ottobre 2017

Battaglione Loreto e aliantisti da sbarco. di Giambattista Casarino

da Aeronautica n.11 Dicembre 1995.

Cameri fu sede anche del Reggimento d'assalto Duca d'Aosta

Battaglione Loreto e aliantisti da sbarco.
di Giambattista Casarino
 
Negli anni 1942 e 1943, l'aeroporto di Cameri fu sede di due reparti speciali della Regia Aeronautica, il Battaglione Riattatori "Loreto", al comando del tenente colonnello Salvatore Scovenna, e il NAVSM (Nucleo Addes-tramento Volo Senza Motore) denominato anche Nucleo Aliantisti da sbarco, al comando del tenente colonnello Adolfo Contoli.

La costituzione dei due reparti speciali era inquadrata in un grandioso piano militare concepito per l'occupazione di Malta (Operazione C.3) al quale avrebbero dovuto concorrere forze armate italiane e tedesche con un imponente impiego di uomini e di mezzi. Gli alti comandi avevano pensato di ricorrere all'aviotrasporto con alianti di truppe d'assalto dopo le imprese dei tedeschi nel 1940-41 in Belgio e a Creta dove gli alianti bellici avevano avuto un ruolo determinante. Le cose però non andarono come era stato previsto.

Abbiamo ricostruito per sommi capi la storia, poco conosciuta, di questi due reparti durante la loro permanenza a Cameri, grazie anche alle testimonianze, per il Battaglione Loreto, dell'avvocato Mario Buoncristiani di Roma, allora sottotenente armiere della 1 a Compagnia, e del generale Franco Bassi, allora tenente AArs comandante di plotone della 2a compagnia, e, per gli Aliantisti da sbarco, di Adolfo Contoli, Plinio Rovesti e Gianfranco Benini. Nell'estate del 1942, quando arrivarono a Cameri i primi volontari del battaglione "Loreto", l'aeroporto era "disarmato", senza cioè reparti operativi. Il 17° Stormo BT 73 durante la era stato appena trasferito alle dipendenze del Comando Bombardamento della Sicilia.

Lancio di incursori paracadutisti da Ca. 73 durantre la "giornata dell'aria" del 1930

L'ordine di costituzione del battaglione "Loreto" fu diramato col dispaccio di Superaereo n° 03 dellO giugno 1942. I primi militari arrivarono a Cameri i116 giugno, solo sei giorni dopo. L'addestramento doveva avvenire in tempi rapidi. Il sotto tenente Mario Buoncristiani arrivò il 3 luglio, quando l'organico del nuovo reparto era pressoché completato. "Il personale avrebbe dovuto essere - secondo quanto scrive Mario Buoncristiani che cita in proposito le disposizioni dello Stato Maggiore - esclusivamente volontario ma oltre il dieci per cento fu assegnato d'autorità, consentendo così a molti comandanti di liberarsi dei cosiddetti "lavativi". La loro presenza però non influì sullo spirito del reparto che restò sempre compatto, anche se ci furono alcuni casi poco edificanti. "

Da metà luglio, per un paio di settimane, il personale fu sottoposto a un duro addestramento: furono chiamati appositamente degli ufficiali di fanteria di stanza a Novara. Successivamente subentrarono ufficiali e sottufficiali del battaglione. Durante le marce, i militari indossavano camicia e calzoncini cachi tipo coloniale. Senza la divisa azzurra, sembravano fanti e furono perciò chiamati "fanti azzurri", nome che restò loro anche in seguito. In libera uscita, indossavano la divisa azzurra ma la popolazione locale sapeva ugualmente distinguerli dagli altri aviatori chiamandoli "loretini". "Per me è rimasto sempre un mistero - precisa Buoncristiani - ma di certo qualcosa c'era che ci distingueva dagli altri, dagli "stanziali", più sedentari, burocratici e forse imboscati, e questo essere considerati un po' speciali ci rendeva orgogliosi e fece nascere in tutti noi un "complesso di superiorità "che si trasformò presto in spirito di corpo".

Sull'aria dei motivi musicali più in voga i volontari del Battaglione inventarono le loro canzoni e le cantavano a squarciagola durante le marce e nei momenti di riposo. Erano parodie allegre, goliardiche, che legarono ancora di più gli uni agli altri, coinvolgendo tutti, anche gli ufficiali, rafforzando così l'amalgama del gruppo.

L'organico era di 854 uomini suddivisi in un comando battaglione e 4 compagnie formate di due plotoni ciascuna. Meno della metà degli uomini, precisamente 372 secondo quanto riferisce Buoncristiani, quelli delle prime due compagnie trasportati da alianti, erano destinati a compiere dei veri e propri "blitz" cogliendo di sorpresa e occupando un aeroporto nemico e poi predisponendosi per la sua difesa. Alle altre due compagnie, anche queste trasportate da alianti, spettava il compito di riattivare le attrezzature aeroportuali distrutte durante l'assalto e consentire l'arrivo del grosso della forza di occupazione. Ovviamente la composizione delle compagnie era fatta tenendo conto di queste esigenze, tattico-militare una e tecnico-logistica l'altra. Precorrendo i tempi, fu creata una unità composita ma omogenea, in grado, almeno sulla carta, di compiere e di gestire autonomamente un'importante azione di guerriglia, come una vera e propria "task force" dei nostri giorni. Lo spirito era quello di un gruppo di arditi, di "commandos" votati al sacrificio. "Ma allora gli uomini che dovevano essere impiegati in quelle folli avventure - scrive il generale Bassi - rischiavano veramente la vita perché, armati del solo coraggio, affrontavano un nemico munitissimo e agguerrito".

L'armamento e le attrezzature in dotazione non erano certo gran cosa: 94 pistole Beretta 7,65 con 14 colpi, 94 pugnali (mai distribuiti), 94 mitra Beretta calibro.9 canna lunga (primo modello) con 240 colpi, e 760 moschetti mod.91 con 72 colpi. Inoltre, 6 mitragliere da 20 mm, 18 fucili mitragliatori Breda e un imprecisato numero di bombe a mano. Fra le attrezzature, una stazione radio, telefoni campali, teli e razzi da segnalazione. I mezzi di trasporto erano 10 motociclette 250 cc e 15 biciclette. Razione viveri a secco per 2-3 giorni e 100 pacchetti di medicazione.

Nell'agosto 19-12 la fisionomia del battaglione Loreto assunse una più precisa connotazione in senso tattico-militare, con l'arrivo del colonnello Donatello Gabrielli, bersagliere della 1a guerra mondiale, che assunse il comando del Reggimento d'Assalto Duca d'Aosta del quale facevano parte anche il Nucleo Aliantisti da sbarco e il Battaglione ADRA (Arditi Distruttori Regia Aeronautica) che però era di Stanza in altra sede. Il colonnello Gabrielli sino al mese di novembre, fu anche il comandante dell'aeroporto di Cameri dove il Reggimento Duca d'Aosta ebbe sede.

Nel mese di novembre incominciarono ad affluire sull'aerporto di Cameri gli allievi piloti degli alianti bellici destinati al trasporto dei "loretini". Benché l'ordine di costituzione del Nucleo Aliantisti da sbarco fosse del2 giugno 1942 (n.02/5270) non si riuscì a completare l'organico richiesto di 250 allievi se non quando furono ammessi anche i piloti che avevano ottenuto il brevetto di volo a vela B e C presso le scuole della GIL assistite dalla Regia Aeronautica.

Tra i due reparti, che avrebbero dovuto operare insieme. non ci furono mai contatti, anche se per un breve periodo ebbero sede sullo stesso aeroporto di Cameri. Durante il mese di novembre, quando arrivarono gli aliantisti, i "loretini" cominciarono ad andar via. Furono trasferiti a Marsala in previsione dell'attacco a Malta . Ma la guerra non andò com'era nelle previsioni e l'Operazione C.3 fu prima rinviata, poi annullata. Dalla Sicilia, le prime due compagnie furono inviate in Tunisia, mentre le altre due, rimaste a Marsala, furono letteralmente decimate in un bombardamento aereo.
                                 
L'aliante da trasporto "A.L.12P" con le insegne della Luftwaffe, dopo 1'8 settembre 1943.

Il corso teorico per gli allievi aliantisti da sbarco iniziò a Cameri nel dicembre. Le lezioni si tennero nel cinema-teatro aeroportuale e comprendevano anche insegnamenti sulla tattica militare, sull'uso delle armi e sulle azioni di sabotaggio. Dopo aver portato sull'obiettivo le truppe d'assalto e i riattatori, infatti, anche i piloti dovevano dare man forte nelle operazioni militari.

Nel mese di gennaio incominciarono le lezioni pratiche di volo, diurne e notturne.

Sul campo di Cameri c'erano lO alianti DFS 230 e quattro GO 242 ceduti dalla Luftwaffe; ma furono impiegati, soprattutto nella prima fase di insegnamento, alianti sportivi e da record, quali il CAT 28, il Bonomi, l'Asiago. Venne anche utilizzato un FL.3 senza elica, trainato da Ro.41, RO.37 e Ba.28. Arrivò a Cameri anche il prototipo A.L.12P costruito dalla Aeronautica Lombarda, un aliante di grosso tonnellaggio che diede ottimi riscontri ma che non fu mai prodotto in serie per la piega negativa che aveva preso la guerra.

Tra gli aerei che furono impiegati per il traino, oltre quelli già citati, c'erano Ca.100, 111 e 133, Ba.25, Fiat CR.42, e, per gli alianti più pesanti, l'SM.81.

Gli allievi furono sottoposti a un duro tirocinio, fatto di addestramento al volo e di preparazione strettamente militare, con particolare attenzione per l'impiego in azioni di guerriglia.

L'addestramento avrebbe dovuto completarsi nell'estate del 1943. Il tenente colonnello Adolfo Contoli, dopo la partenza del colonnello Gabrielli diventò il comandante dell'aeroporto di Cameri sino alla fine del mese di gennaio 1943 quando gli subentrò il tenente colonnello Corrado Corradino, comandante del 430 Stormo BT rientrato da poco sull'aeroporto novarese.

Nella primavera del 1943 gli alti comandi non dimostrarono più interesse per il corso degli aliantisti: il Reggimento Duca d'Aosta si era pressoché sfasciato, l'operazione C.3 era stata annullata. Il personale di Cameri però continuò a prodigarsi con grande entusiasmo anche se abbandonato dai superiori comandi: tra l'altro, gli alianti disponibili non erano sufficienti per proseguire l'addestramento di tutti e cominciò a mancare la benzina.

Alla fine del mese di aprile iniziò il trasferimento del Nucleo a Orio al Serio, prima, e a Ponte San Pietro, poi. Solo una decina di allievi riuscirono a conseguire il brevetto di pilota d'aliante militare. Dopo 1'8 settembre la scuola cessò di esistere.

I reduci del Reggimento Duca d'Aosta si sono ritrovati il 23 maggio 1987 a Grosseto ma da allora non si ha più notizia di altri raduni.

Gli Aliantisti di Cameri invece sono rimasti molto uniti e hanno organizzato numerosi raduni, a cominciare dal 1963, a Calcinate del Pesce. Si sono incontrati anche sull'aeroporto di Cameri, per il XN raduno, il 26 settembre 1976. Abbiamo notizia anche del XXVIII raduno, il 9 settembre 1990, ad Asiago, dove nacque il volo a vela italiano. A dimostrazione del forte attaccamento esistente tra i reduci del Gruppo, gli aliantisti hanno dato vita anche a un notiziario. Nel numero redatto per organizzare, a Parma, il XXV raduno, hanno scritto: "Quello che lega gli Aliantisti è qualcosa del quale nessuno ha mai scritto, ma che noi intimamente sentiamo. Il generale Contoli sarà presente come sempre e ci troverà tutti uniti intorno a lui."

La continuità e la frequenza dei loro raduni non ha riscontri tra quelli di altri reparti dell'Aeronautica. E' un esempio per tutti di attaccamento al reparto.


domenica 15 ottobre 2017

IL volo a Vela in Italia dal 1921 al 1940 da Aeronautica Aprile 1995

Il volo a vela in Italia dal 1921 al 1940 di Harald Euteneuer
(L'articolo è stato tradotto dal prof. Pier Egilberto de Zordo, Sezione A.A.A. di Merano).



Aeronautica pubblica la traduzione di un articolo sul volo a vela italiano ripreso dal periodico "Luftwaffen-Revue" che, come è noto, è l'organo della Associazione Arma Aeronautica tedesca con la quale l'A.A.A. italiana si è gemellata.

I l famoso Oskar Ursinus nel 1920 invitò a partecipare alla prima gara di volo a vela sulla WasserKuppe, nel gruppo montuoso della Rhon, L'invito fu rivolto a tutti i clubs di aeromodellismo e di volo a vela, nonché all'Associazione tedesca di volo a vela, ed i risultati conseguiti furono un volo a distanza di 1830 m ed un volo della durata di 2 minuti e mezzo.

Già un anno dopo - nel 1921 - il Ten. Col. italiano Vittorio Bonomi (pilota durante la 1 a guerra mondiale) introdusse il volo a vela in Italia. Due anni dopo si formava il primo Gruppo studentesco volovelisti di Pavia. La Lega Aerea Nazionale (LAN) bandì per il mese di ottobre 1924 una gara internazionale di volo a vela da tenersi sull'Altopiano di Asiago. I piloti daliani dott. Ottone Cattaneo, dotto Franco Segrè ed il maresciallo Canavesi volarono su alianti costruiti dal Gruppo studentesco volovelisti di Pavia, e il dott. Segrè stabilì il primo record italiano di volo a vela. Dalla Germania vennero a partecipare a tale gara, guidati da Oskar Ursinus, i volovelisti Fuchs, Papenmeyer e Martens. In quell'occasione Martens stabilì il record mondiale di volo a distanza, volando per 21 km da Monte Mazze a Dueville. Nel 1926 il dotto Cattaneo ed il maresciallo Pasta stabilirono un nuovo record italiano, volando per 16 km.


Aliante da elevate prestazioni "Alcione BS 28"





Su iniziativa del Maresciallo Balbo, nel 1927 fu inaugurata la prima Scuola di volo a vela italiana a Pavullo, diretta dall'allora Cap. Nannini. Tale scuola svolse un importante lavoro pionieristico, non ultimo quello di avere istruito il primo nucleo di piloti di aliante 'che successivamente assunsero singoli gruppi istruendoli al volo.

Negli anni seguenti il Ten. Col.Vittorio Bonomi, uno dei primi pionieri dell'aviazione e pilota d'aeroplano, istituiva, per incoraggiare il volo a vela, sei premi, due dei quali furono assegnati al dott. Cattaneo e al dott. Segrè per i loro voli record.

Il Ten. Col. Vittorio Bonomi fondò inoltre a erba presso Como una fabbrica per la costruzione di alianti e per dare così maggiore espansione a questo sport.

Siccome nel 1931 il dott. Cattaneo era stato ospite sulla Wasserkuppe nel gruppo della Rhon. nel 1932 prese attivamente parte, insieme con il suo amico Ponti, alla gara della Rhone compì addirittura un volo di 4 ore e 16 minuti. Il suo amico Ponti divenne poi noto per avere scoperto, per costruirvi un aeroporto, il campo di Vigna di Valle vicino ai colli ai piedi dell'Appennino, presso Roma.

Pian piano crebbe l'interesse per il volo a vela in vasti strati della popolazione italiana e, grazie all'intensa attività degli Aeroclubs, si formarono i seguenti gruppi:

- Aeroclub di Como sul campo di Erba sotto la guida di V. Bonomi;

- Gruppo di Genova sotto la guida del Cap. Cartosio;

- Gruppo universitario volovelisti di Roma sotto la guida di Bartocci;

- Opera Nazionale Balilla e Aeroclub di Belluno sotto la guida del dotto Sperti;

- AerocJub di Firenze sotto la guida dell'Ing. D. Nuti e G. Antoni;

- Gruppo "Dal Molin" a Varese sotto la guida di Rovesti;

- seguirono poi gli Aeroclubs di Bergamo, Pescara, Trieste e Gorizia.

Nel 1931 , nell'ambito del "Reale Aeroclub d'Italia", si era formata una Commissione centrale per il volo a vela cui venne affidato il compito di disciplinare meglio l'attività del settore mediante un metodico coordinamento e un'adeguata guida di tutte le forze operanti nel volo a vela e con il compito inoltre di rappresentare il volo a vela italiano nell'ISTUS. L'onore di presiedere tale Commissione toccò dapprima al Professor Pistolesi e poi al Ten. Col. Vittorio Bonomi. 

Aliante "Pellicano" sull'aeroporto Sezze Romano ai piedi dell'Appennino

Convinto dell'avvenire che avrebbe avuto il volo senza motore, il Maresciallo Balbo invitò, nel 1933 Roberto Kronfeld a percorrere 1'1 tali a con un "circo ambulante" ed entusiasmare in tal modo per il volo a vela gli strati popolari. Il giro di Kronfeld ebbe pieno successo, e cronache a più colonne riempirono i quotidiani quando Kronfeld volò intorno al Vesuvio con un aliante. Nell'autunno del 1934 il dott. Cattaneo e Ponti acquistarono da Heini Dittmar un "Condor", per introdurre in Italia il volo a vela con elevate prestazioni. Fino a quel momento, infatti, si era incentivato il volo a vela solo come scuola preparatoria per futuri piloti militari, ma le possibilità del volo a vela non erano affatto ben note. Data la natura peninsulare dell'Italia e considerato il grande numero di laghi presenti nell'Italia settentrionale, l'interesse dei volovelisti si era fin da allora orientato verso la sperimentazione di idroalianti. Il 16 settembre 1934 dall'aeroporto Campo dei Fiori presso Varese furono fatti decollare nove alianti anfibi che in formazione compirono un volo della durata di 22 minuti a ammararono su un lago vicino.

Nel 1934 il pilota veleggiatore Zambelli stabilì anche il primo record italiano di durata, volando per 2 ore e 31 minuti, l'anno successivo Italo Ravazzi volò poi per 5 ore e 45 minuti, Antonio Angeloni per 5 ore e 45 minuti e Luigi Caneppele per 6

ore e 2 minuti. Queste prestazioni iniziali erano certo modeste, ma si trattò di voli compiuti tutti da piloti con brevetto B e su semplici alianti da scuola. Durante i corsi del 1936 si incominciò a volare su modelli più avanzati del tipo del "Granau-Baby", dopo di che ebbe subito luogo un ragguardevole numero di esami per il brevetto C. La costruzione di alianti per grandi prestazioni iniziò veramente appena nel 1937/38.

Dalle scuole istituite nel 1934 a Torino, Milano, Varese, Verona, Como, Udine, Ferrara, Ravenna, Pistoia, Bari, Salerno, Cagliari, Colfiorito, Belluno e Pavullo durante i corsi tenuti nel loro primo anno di attività (1935) furono rilasciati 411 brevetti A e 395 brevetti B e registrati oltre 30.000 voli, risultati assai soddisfacenti per questo inizio e che furono poi raddoppiati nel 1936.

Nel 1936, in connessione con lo sviluppo dell'Arma Aeronautica, il volo senza motore ebbe un notevole incremento. Furono istituite nuove scuole, che, dirette da ufficiali istruttori di volo, vennero formando opportune nuove leve di piloti.

Nel corso delle manifestazioni in coincidenza con l'Olimpiade, il 4 ottobre 1936 e Berlino-Staaken, dove accanto alla rappresentanza tedesca quella italiana era la più forte, il Col. Nannini superò il record di altezza di allora, pari a 600 m, di quasi 1000 m, raggiungendo la quota di 1.530 metri dal punto di decollo. "Orione" e "AI-

STORIA AERONAUTICA

Aliante "Pellicano" sull'aeroporto di Sezze Romano ai piedi dell'Appennino.

banella", al pari dei moderni carrelli posti su chassis a 4 ruote per catapultare gli alianti, incontrarono vivo interesse nel campo tecnico a livello internazionale.

Nell'agosto 1936 sul campo storico di Asiago fu solennemente consegnata alla sua destinazione una Scuola di volo a vela. Asiago è una stazione climatica situata su un altopiano a 1000 m di altitudine sul li - vello del mare a 37 km a sud-est di Trento. Qui, anche se la situazione climatica nel bassopiano del Po è del tutto stabile, le condizioni termiche sono ottime, fatto notoriamente dovuto all'influenza delle Alpi. Ad Asiago si erano ottenuti risultati abbastanza buoni anche in presenza dei più differenti valori di pressione barometrica, di temperatura e di umidità. Di particolare importanza è la constatazione che tutti i 45 esami di brevetto C finora sostenuti ad Asiago furono svolti con perfette correnti ascendenti d'aria calda e con rimorchio aereo. La durata del volo oscillava da un minimo di 15 ad un massimo di un'ora e mezza.

Nell'agosto 1937 ad Asiago ebbe luogo la prima "Settimana di volo a vela", alla quale parteciparono 20 alianti. Se in precedenza si era volato principalmente su modelli tedeschi, in occasione di detta gara si palesava chiaramente per la prima volta lo sforzo di procurarsi alianti di propria fabbricazione. L'unica macchina non puramente italiana era il "Cat-20 del dott. Cattaneo, un "Hutter-L?" costruito su licenza. L'8 agosto 1937 il Sotto tenente Tait della scuola di Pavullo stabilì su "Orione" il record italiano di durata di 5 ore e 58 minuti. Condizioni atmosferiche avverse impedirono purtroppo al pilota di raggiungere prestazioni quali erano state raggiunte in Germania, ma ciononostante in 8 giorni furono totalizzate 97 ore di volo, e siccome i tempi di volo raggiunti in Germania non furono riconosciuti come records, la gara in parola diede all'Italia tre records:
                                    

             Aliante ad elevate prestazioni "AL-3" dell'ing. Silva


Aliante ad elevate prestazioni "Sperber" (Sparviero) di Teichfuss. (II pilota è l'allora tenente Adriano Mantelli, esperto ve/ovelista - nota della redazione di AERONAUTICA).




Durata: Tenente Tait, con 5 ore e 58 minuti su "Orione";

altezza: Peselli, con 1200 m dal punto di decollo;

distanza: Peselli, con 50 km.

In questa gara tutti i decolli furono effettuati con traino da parte di velivoli a motore. In tale occasione furono anche compiute prove per far rimorchiare simultaneamente due alianti da tre velivoli a motore.

Nel 1938 fu ininterrottamente attiva la Scuola di Littoria, mentre quella di Asiago lo fu da giugno a ottobre. Le due scuole istruirono 114 allievi, di cui 63 sostennero l'esame per il brevetto C e 7 per il brevetto C d'argento. In totale nelle due scuole furono effettuati 3954 decolli con traino a fune e 1142 decolli con catapulta. Dall'inizio della loro attività queste due scuole istruirono complessivamente 254 allievi, 118 dei quali assolsero le condizioni per il brevetto C e 10 le condizioni per conseguire il distintivo previsto per elevate prestazioni, per un totale di 9945 decolli con traino a fLme e 2032 decolli con catapulta.

Nel febbraio 1939 sul campo di Sezze (Littoria) si svolsero i voli eliminatori per individuare il velivolo-tipo per l'Olimpiade progettata per il 1940, voli che si furono contesi dal Cap. piI. Hanna Reich (Germania), Ing. Zabsky (Polonia) e dal Cap. Laurin e dall'Ing. Venturini (Italia). A presiedere la Commissione tecnica fu il Professor Georgii della DFS tedesca, a dirigere l'organizzazione fu il Ten. Col. V. Bonomi.

L'Italia vi mandò i suoi due modernissimi alianti "Pellicano" e "AL-3" dell'Istituto sperimentale di volo a vela presso il Politecnico di Milano.

"AL-3" era un aeroplano ad ala alta autoportante a V modello Einholm con centina alare rigida a torsione, profilo alare spiccatamente trapezoidale, alettoni differenziali (angolo di escursione esterno superiore a quello interno, donde la grande manovrabilità anche a bassa velocità). I doppi freni di picchiata disposti sulla parte superiore e inferiore erano accoppiati in maniera da compensare le reazioni e da poter essere azionati con il minimo sforzo.

La fusoliera a struttura portante presentava sezione trasversale uniforme. L'abitacolo di pilotaggio era assai spazioso, largo 60 cm, e interamente coperto da un tettuccio in plexiglas sganciabile in volo. La fusoliera era perfettamente impermeabile per eventuali ammaraggi forzati.

Nella prova di volo l'angolo di planata risultò pari a 29,3° alla velocità di 70 km/h.

Il "Pellicano" era a sua volta un monoplano autoportante, ma con l'ala a profilo accentuatamente spezzato, struttura che offre il vantaggio di consentire un'ampia superficie, il che permette di ridurre il carico alare e di allungare notevolmente l'ala, fatto che a sua volta conferisce buone qualità aerodinamiche all'aliante.

Nel mese di aprile, in collaborazione con l'Istituto di ricerche germanico sul volo a vela, fu insediata in Libia una Commissione di studio italo-tedesca per accertare le possibilità del volo a vela nel deserto.

I risultati furono del tutto soddisfacenti, i voli compiuti superarono i 200 km.

Nell'estate 1939 furono effettuati, insieme con la DFS germanica, anche voli sperimentali a Tripoli.

Pur se il bilancio del volo a vela italiano appariva ancora modesto, considerati i risultati ottenuti in Germania, i piloti italiani poterono tuttavia constatare ogni anno un considerevole aumento delle loro prestazioni.

Lo scoppio della guerra nel 1939-40 impedì ulteriori importanti attività nel campo del volo a vela.

venerdì 13 ottobre 2017

giovedì 5 ottobre 2017

I CORRIERI AEREI MILITARI di Giulio Marini da aeronautica Gennaio 1993

I CORRIERI AEREI MILITARI
di Giulio Marini 
da aeronautica Gennaio 1993





Appena giunti a Roma il 4 giugno 1944 gli anglo-americani collocarono in un grande palazzo, a via Vittorio Veneto, la loro Commissione Alleata di Controllo, che poi fu sciolta dopo la firma del Trattato di Pace, sottoscritto il Lù febbraio 1947. I compiti di tale Commissione erano, tra l'altro, quello di far rispettare le clausole dell'armistizio del 1943, nonché di vigilare sui nostri Ministeri e sulle nostre Forze Armate, che durante la cobelligeranza furono dotate di armi e di aerei alleati. Insomma, la vigilanza alleata consisteva anche nell'aiutare i vigilati.
Tra le limitazioni di sovranità, da noi subite durante il periodo armistiziale, v'era anche il divieto di riattivare o costituire linee aeree civili. Perciò soltanto a maggio 1947 due nuove società aeree, la LA! e l'Alitalia, cominciarono la loro attività.

Dopo la fine della guerra nel 1945 i nostri politici, i funzionari dello Stato ed anche la gente comune in condizione di particolare necessità, avevano bisogno di spostarsi in aereo in tutta l'Italia. Pertanto, la nostra Aeronautica Militare convertì i .suoi bombardieri già cobelligeranti in velivoli da trasporto e così nacquero i Corrieri Aerei Militari, che operarono fino al 1947. Tali corrieri erano costituiti da uno Stormo dotato di velivoli trimotori SM-79 dislocato sull'aeroporto di Centocelle e dallo Stormo Notturno dotato di velivoli trimotori SM-82 e Cant-Z 1007, dislocato sull'aeroporto di Guidonia. Comunque, tale Stormo non portò mai passeggeri di notte.



 

                                      Il glorioso "S.M. 79".

Nel settembre 1946 l'allora Tenente Colonnello Ercole Savi (poi Generale di Squadra Aerea e purtroppo deceduto per malattia pochi anni fa) comandava lo Stormo Notturno. Con mia grande soddisfazione mi diede il comando di un Gruppo di SM-82. Così lasciai finalmente l'ingrato e burocratico incarico di segretario dell'Ufficio di Collegamento con gli alleati e tornai felice al mio caro aeroporto di Guidonia, che purtroppo avevo lasciato dopo 1'8 settembre del 1943. Sostituii nel comando del Gruppo il parigrado Maggiore Edoardo Medaglia ed ebbi alle mie dipendenze come Comandanti delle due Squadriglie i Capitani Vittorio Marino e Giovan Battista De Angelis, che con Medaglia avevano valorosamente partecipato alla cobelligeranza. Successivamente essi furono sostituiti dagli altrettanto validi Capitani Giuseppe Piseddu e Giovanni Bosio. Dal canto loro gli specialisti erano dei veri fenomeni, capaci di assicurare sempre un'alta percentuale di velivoli efficienti.

I passeggeri ci venivano forniti da un'apposita agenzia, sita in via Barberini. Ogni mattina raccoglieva le persone segnalate da enti pubblici e privati. Alcuni di noi piloti salivamo coi passeggeri sui torpedoni diretti a Guidonia dove, appena arrivati, correvamo all'Ufficio Meteorologico, che però a quei tempi non poteva fornire previsioni esatte come adesso. Comunque, tutti i nostri voli andarono nel migliore dei modi, grazie anche ai numerosi interventi della Madonna di Loreto.

Dicembre del 1947 finì l'attività dei Corrieri Aerei Militai, perché la LAI e l'Alitalia li vevano ormai sostituiti. Tuttavia, logicamente, l'Aeronautica Militare abbisognava ancora di velivoli da trasporto. Ciononostante un burocrate ministeri aie sosteneva che occorreva vendere i nostri velivoli perché essi, in teoria, potevano essere riconvertiti in bombardieri, in deroga al Trattato di Pace che ci impediva di averne. Il Generale Mario Ajmone Cat, allora nostro prestigioso Capo di Stato Maggiore, si accordò con i suoi amici esponenti dell'Ordine di Malta e fece apporre sulle fiancate dei velivoli da trasporto le pacifiche e umaltitarie insegne dell'Ordine stesso. Bel colpo!

Il Comandante Savi, il suo successore Colonnello Micciani e noi tutti gongolavamo perché conoscevamo il retroscena che aveva indotto lo zelante burocrate a piantare grane, a causa di alcuni avventurieri, piuttosto dilettanti, che volevano comprare i nostri velivoli a basso costo per ... portare ortaggi in Inghilterra. I poverini ignoravano che quei velivoli erano sprovvisti di radio telefoni ad altissima frequenza (VHF), senza i quali era impossibile andare all'estero, in conformità alle norme internazionali.
 
 
                                      Il "Cani Z 1007".



Dal 1948 al 1950, al mio nuovo posto alla Sezione Tecnica dello Stato Maggiore, agli ordini del carissimo superiore allora Tenente Colonnello Paolo Moci, e con l'aiuto del bravissimo Maresciallo Marconista Donato Fiermonte, feci dotare quei velivoli ed anche altri di radiotelefoni in VHF, ceduti dagli americani agli alleati europei. A tal fine dovettero esser schermati i magneti dei motori e tutte le parti metalliche dei velivoli furono collegate con fili metallici conduttori. Altrimenti i radiotelefoni avrebbero maledettamente scricchiolato a causa di interferenze elettrostatiche. Così i nostri aeroplani poterono volare anche all'estero, fino alla metà degli anni 50. quando furono finalmente sostituiti dai più moderni e capaci C-l19 americani.

Nei lontani anni 1946 e 47 era stato esaltante volare su tutta l'Italia e constatarvi la grande voglia e capacità di ricostruzione del nostro popolo. Partiti da Roma e raggiunte le destinazioni, vi trovavamo del personale dell'Aeronautica che ci consegnava i passeggeri diretti a Roma, dove la maggior parte di essi veniva a sollecitare i Ministeri a fornire quanto necessario ai loro paesi, a volte ancora disastrati dai bombardamenti subiti.

Noi dei Corrieri Aerei Militari, distinguibili dalle divise vecchiotte e, a volte, dall'accento romanesco. eravamo sempre bene accolti anche dai nostri albergatori e ristoratori. che sapevano tutto del pericoloso svolazzare con vetusti aeroplani e sovente col tempo avverso. Ci facevano notevoli sconti ed erano sempre molto gentili con noi. Ma anche gente più modesta era gentile. Per esempio una volta, atterrato all'aeroporto torinese di Caselle coperto di neve, fui raggiunto da operai che per prima cosa mi fecero il saluto romano forse presi da un'antico riflesso condizionato, poi mi dissero che erano in sciopero, infine conclusero che erano lieti di sospingere il mio velivolo in aviorimessa altrimenti, a causa del freddo eccezionale, quel mio vecchio aeroplano fatto di legno, tubi e tela si sarebbe congelato come un pezzo di baccalà. Benedetti scioperanti!


Nonostante l'intensa attività i nostri velivoli SM-82 non subirono incidenti, ma spesso noi fummo messi a dure prove perchè i motori Alfa 128, pur sviluppando una potenza di 850 CV. ciascuno, maggiore dei 750 CV degli Alfa 126 degli SM-79, a stento superavano la quota di duemila metri, obbligando ci a volare spesso dentro le nubi. In compenso portavano carichi superiori a quelli degli SM-79.

Un'esibizione difficile la dovemmo compiere il 21 dicembre 1946 sull'ippodromo di Torino. Lasciammo l'albergo e in torpedone partimmo per l'aeroporto di Caselle con una visibilità scarsa, a causa della nebbia. Ciò ci preoccupava molto, anche perché la stampa locale aveva già comunicato l'ora e il luogo del lancio. Che fare? Per tirarci su il morale proposi di cantare "Giovinezza" e "Bandiera rossa" cambiando musica ad ogni semaforo. Ci mettemmo a cantare a squarciagola e scendemmo a Caselle ridendo come matti. Ma sul prato c'era la neve e la nebbia nascondeva i limiti dell'aeroporto, ricoperto da nubi all'altezza di circa cento metri. Però le nubi stesse erano così bianche e splendenti da renderle diafane, cioé poco spesse.

Mi feci coraggio e decollai seguendo nella neve le tracce delle ruote d'un Dakota, cabrai e presto fummo alla luce del sole. Poi raggiunsi la presumibile verticale dell'ippodromo, servendomi d'una carta topo grafica e guardando il terreno attraverso qualche squarcio tra le nuvole. Adocchiato l'ippodromo scesi e mi portai alla giusta quota di lancio, che andò benissimo.

Fui molto soddisfatto del successo della manifestazione e, soprattutto, fui contento del gioioso cameratismo sorto tra paracadutisti fascisti e anti-fascisti, forse anche incoraggiati dalla mia estemporanea e canora ragazzata.

Oltre ai trasporti dei passeggeri, dovevamo spesso portare dei paracadutisti ad esibirsi in varie città. Quei bei matti appartenevano all'API (Associazione Paracadusti Italiani), costituita da elementi militari e civili, ex partigiani ed ex appartenenti alla Repubblica Sociale. Però non litigavano mai tra loro per motivi politici, bensì per contendersi i posti disponibili a bordo. Tutti giovani reduci della guerra da poco finita, volevano dimostrare alla gente di essere ancora capaci di rischiare. A volte facevano accapponare la pelle al pubblico, quando eseguivano lanci con l'apertura ritardata dei paracadute, sventolando il tricolore. Insomma, le loro esibizioni erano anc):e per il pubblico dei bagni salutari di patriottismo.

La prima volta che dovetti portarli in volo per un lancio di allenamento a Guidonia, volli anzitutto fare quattro chiacchiere con loro. Mi dissero che temevano di urtare nei piani di coda quando il flusso d'aria che lambiva i fianchi della fusoliera veniva ad arrecare loro un pericoloso disturbo subito dopo averla lasciata. Pertanto, giunto alla quota e alla zona di lancio, ridussi la potenza del motore centrale, aumentai un poco quella dei motori laterali e misi il velivolo appena sotto la linea di volo. Con quel sistema, al momento del lancio, il velivolo aveva la coda leggermente sollevata, mentre un flusso molto ridotto lambiva la fusoliera. Poiché i paracadusti furono molto soddisfatti della mia trovata, suggerii che tutti gli altri piloti l'adottassero anche loro.
                                    "SM 82" con lo stemma dell'Ordine di Malta.

Dopo tanto tempo, ancora mi chiedo se quei miei cari paracadutisti sono ancora buoni amici tra loro.

Per due decenni l'ansia popolare di pacificazione e di ricostruzione è stata tale da produrre il nostro miracolo economico, ammirato da tutto il mondo. Poi, nei successivi venti anni ed oltre, i successi italiani sono gradatamente svaniti, anche perché la nostra crisi morale ed economica è venuta a collocarsi in un quadro internazionale simile al nostro.

Ora a noi vecchi non rimane che sperare nei giovani, che a ben conoscerli sono migliori di quanto sostengono i pessimisti. I giovani sono la più valida speranza per il bene dell'Italia nostra.