giovedì 5 ottobre 2017

I CORRIERI AEREI MILITARI di Giulio Marini da aeronautica Gennaio 1993

I CORRIERI AEREI MILITARI
di Giulio Marini 
da aeronautica Gennaio 1993





Appena giunti a Roma il 4 giugno 1944 gli anglo-americani collocarono in un grande palazzo, a via Vittorio Veneto, la loro Commissione Alleata di Controllo, che poi fu sciolta dopo la firma del Trattato di Pace, sottoscritto il Lù febbraio 1947. I compiti di tale Commissione erano, tra l'altro, quello di far rispettare le clausole dell'armistizio del 1943, nonché di vigilare sui nostri Ministeri e sulle nostre Forze Armate, che durante la cobelligeranza furono dotate di armi e di aerei alleati. Insomma, la vigilanza alleata consisteva anche nell'aiutare i vigilati.
Tra le limitazioni di sovranità, da noi subite durante il periodo armistiziale, v'era anche il divieto di riattivare o costituire linee aeree civili. Perciò soltanto a maggio 1947 due nuove società aeree, la LA! e l'Alitalia, cominciarono la loro attività.

Dopo la fine della guerra nel 1945 i nostri politici, i funzionari dello Stato ed anche la gente comune in condizione di particolare necessità, avevano bisogno di spostarsi in aereo in tutta l'Italia. Pertanto, la nostra Aeronautica Militare convertì i .suoi bombardieri già cobelligeranti in velivoli da trasporto e così nacquero i Corrieri Aerei Militari, che operarono fino al 1947. Tali corrieri erano costituiti da uno Stormo dotato di velivoli trimotori SM-79 dislocato sull'aeroporto di Centocelle e dallo Stormo Notturno dotato di velivoli trimotori SM-82 e Cant-Z 1007, dislocato sull'aeroporto di Guidonia. Comunque, tale Stormo non portò mai passeggeri di notte.



 

                                      Il glorioso "S.M. 79".

Nel settembre 1946 l'allora Tenente Colonnello Ercole Savi (poi Generale di Squadra Aerea e purtroppo deceduto per malattia pochi anni fa) comandava lo Stormo Notturno. Con mia grande soddisfazione mi diede il comando di un Gruppo di SM-82. Così lasciai finalmente l'ingrato e burocratico incarico di segretario dell'Ufficio di Collegamento con gli alleati e tornai felice al mio caro aeroporto di Guidonia, che purtroppo avevo lasciato dopo 1'8 settembre del 1943. Sostituii nel comando del Gruppo il parigrado Maggiore Edoardo Medaglia ed ebbi alle mie dipendenze come Comandanti delle due Squadriglie i Capitani Vittorio Marino e Giovan Battista De Angelis, che con Medaglia avevano valorosamente partecipato alla cobelligeranza. Successivamente essi furono sostituiti dagli altrettanto validi Capitani Giuseppe Piseddu e Giovanni Bosio. Dal canto loro gli specialisti erano dei veri fenomeni, capaci di assicurare sempre un'alta percentuale di velivoli efficienti.

I passeggeri ci venivano forniti da un'apposita agenzia, sita in via Barberini. Ogni mattina raccoglieva le persone segnalate da enti pubblici e privati. Alcuni di noi piloti salivamo coi passeggeri sui torpedoni diretti a Guidonia dove, appena arrivati, correvamo all'Ufficio Meteorologico, che però a quei tempi non poteva fornire previsioni esatte come adesso. Comunque, tutti i nostri voli andarono nel migliore dei modi, grazie anche ai numerosi interventi della Madonna di Loreto.

Dicembre del 1947 finì l'attività dei Corrieri Aerei Militai, perché la LAI e l'Alitalia li vevano ormai sostituiti. Tuttavia, logicamente, l'Aeronautica Militare abbisognava ancora di velivoli da trasporto. Ciononostante un burocrate ministeri aie sosteneva che occorreva vendere i nostri velivoli perché essi, in teoria, potevano essere riconvertiti in bombardieri, in deroga al Trattato di Pace che ci impediva di averne. Il Generale Mario Ajmone Cat, allora nostro prestigioso Capo di Stato Maggiore, si accordò con i suoi amici esponenti dell'Ordine di Malta e fece apporre sulle fiancate dei velivoli da trasporto le pacifiche e umaltitarie insegne dell'Ordine stesso. Bel colpo!

Il Comandante Savi, il suo successore Colonnello Micciani e noi tutti gongolavamo perché conoscevamo il retroscena che aveva indotto lo zelante burocrate a piantare grane, a causa di alcuni avventurieri, piuttosto dilettanti, che volevano comprare i nostri velivoli a basso costo per ... portare ortaggi in Inghilterra. I poverini ignoravano che quei velivoli erano sprovvisti di radio telefoni ad altissima frequenza (VHF), senza i quali era impossibile andare all'estero, in conformità alle norme internazionali.
 
 
                                      Il "Cani Z 1007".



Dal 1948 al 1950, al mio nuovo posto alla Sezione Tecnica dello Stato Maggiore, agli ordini del carissimo superiore allora Tenente Colonnello Paolo Moci, e con l'aiuto del bravissimo Maresciallo Marconista Donato Fiermonte, feci dotare quei velivoli ed anche altri di radiotelefoni in VHF, ceduti dagli americani agli alleati europei. A tal fine dovettero esser schermati i magneti dei motori e tutte le parti metalliche dei velivoli furono collegate con fili metallici conduttori. Altrimenti i radiotelefoni avrebbero maledettamente scricchiolato a causa di interferenze elettrostatiche. Così i nostri aeroplani poterono volare anche all'estero, fino alla metà degli anni 50. quando furono finalmente sostituiti dai più moderni e capaci C-l19 americani.

Nei lontani anni 1946 e 47 era stato esaltante volare su tutta l'Italia e constatarvi la grande voglia e capacità di ricostruzione del nostro popolo. Partiti da Roma e raggiunte le destinazioni, vi trovavamo del personale dell'Aeronautica che ci consegnava i passeggeri diretti a Roma, dove la maggior parte di essi veniva a sollecitare i Ministeri a fornire quanto necessario ai loro paesi, a volte ancora disastrati dai bombardamenti subiti.

Noi dei Corrieri Aerei Militari, distinguibili dalle divise vecchiotte e, a volte, dall'accento romanesco. eravamo sempre bene accolti anche dai nostri albergatori e ristoratori. che sapevano tutto del pericoloso svolazzare con vetusti aeroplani e sovente col tempo avverso. Ci facevano notevoli sconti ed erano sempre molto gentili con noi. Ma anche gente più modesta era gentile. Per esempio una volta, atterrato all'aeroporto torinese di Caselle coperto di neve, fui raggiunto da operai che per prima cosa mi fecero il saluto romano forse presi da un'antico riflesso condizionato, poi mi dissero che erano in sciopero, infine conclusero che erano lieti di sospingere il mio velivolo in aviorimessa altrimenti, a causa del freddo eccezionale, quel mio vecchio aeroplano fatto di legno, tubi e tela si sarebbe congelato come un pezzo di baccalà. Benedetti scioperanti!


Nonostante l'intensa attività i nostri velivoli SM-82 non subirono incidenti, ma spesso noi fummo messi a dure prove perchè i motori Alfa 128, pur sviluppando una potenza di 850 CV. ciascuno, maggiore dei 750 CV degli Alfa 126 degli SM-79, a stento superavano la quota di duemila metri, obbligando ci a volare spesso dentro le nubi. In compenso portavano carichi superiori a quelli degli SM-79.

Un'esibizione difficile la dovemmo compiere il 21 dicembre 1946 sull'ippodromo di Torino. Lasciammo l'albergo e in torpedone partimmo per l'aeroporto di Caselle con una visibilità scarsa, a causa della nebbia. Ciò ci preoccupava molto, anche perché la stampa locale aveva già comunicato l'ora e il luogo del lancio. Che fare? Per tirarci su il morale proposi di cantare "Giovinezza" e "Bandiera rossa" cambiando musica ad ogni semaforo. Ci mettemmo a cantare a squarciagola e scendemmo a Caselle ridendo come matti. Ma sul prato c'era la neve e la nebbia nascondeva i limiti dell'aeroporto, ricoperto da nubi all'altezza di circa cento metri. Però le nubi stesse erano così bianche e splendenti da renderle diafane, cioé poco spesse.

Mi feci coraggio e decollai seguendo nella neve le tracce delle ruote d'un Dakota, cabrai e presto fummo alla luce del sole. Poi raggiunsi la presumibile verticale dell'ippodromo, servendomi d'una carta topo grafica e guardando il terreno attraverso qualche squarcio tra le nuvole. Adocchiato l'ippodromo scesi e mi portai alla giusta quota di lancio, che andò benissimo.

Fui molto soddisfatto del successo della manifestazione e, soprattutto, fui contento del gioioso cameratismo sorto tra paracadutisti fascisti e anti-fascisti, forse anche incoraggiati dalla mia estemporanea e canora ragazzata.

Oltre ai trasporti dei passeggeri, dovevamo spesso portare dei paracadutisti ad esibirsi in varie città. Quei bei matti appartenevano all'API (Associazione Paracadusti Italiani), costituita da elementi militari e civili, ex partigiani ed ex appartenenti alla Repubblica Sociale. Però non litigavano mai tra loro per motivi politici, bensì per contendersi i posti disponibili a bordo. Tutti giovani reduci della guerra da poco finita, volevano dimostrare alla gente di essere ancora capaci di rischiare. A volte facevano accapponare la pelle al pubblico, quando eseguivano lanci con l'apertura ritardata dei paracadute, sventolando il tricolore. Insomma, le loro esibizioni erano anc):e per il pubblico dei bagni salutari di patriottismo.

La prima volta che dovetti portarli in volo per un lancio di allenamento a Guidonia, volli anzitutto fare quattro chiacchiere con loro. Mi dissero che temevano di urtare nei piani di coda quando il flusso d'aria che lambiva i fianchi della fusoliera veniva ad arrecare loro un pericoloso disturbo subito dopo averla lasciata. Pertanto, giunto alla quota e alla zona di lancio, ridussi la potenza del motore centrale, aumentai un poco quella dei motori laterali e misi il velivolo appena sotto la linea di volo. Con quel sistema, al momento del lancio, il velivolo aveva la coda leggermente sollevata, mentre un flusso molto ridotto lambiva la fusoliera. Poiché i paracadusti furono molto soddisfatti della mia trovata, suggerii che tutti gli altri piloti l'adottassero anche loro.
                                    "SM 82" con lo stemma dell'Ordine di Malta.

Dopo tanto tempo, ancora mi chiedo se quei miei cari paracadutisti sono ancora buoni amici tra loro.

Per due decenni l'ansia popolare di pacificazione e di ricostruzione è stata tale da produrre il nostro miracolo economico, ammirato da tutto il mondo. Poi, nei successivi venti anni ed oltre, i successi italiani sono gradatamente svaniti, anche perché la nostra crisi morale ed economica è venuta a collocarsi in un quadro internazionale simile al nostro.

Ora a noi vecchi non rimane che sperare nei giovani, che a ben conoscerli sono migliori di quanto sostengono i pessimisti. I giovani sono la più valida speranza per il bene dell'Italia nostra.

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