venerdì 24 novembre 2017

I caccia bifusoliera della Regia Aeronautica di Daniele Lembo

tratto da Aeronautica Gennaio 1998

 

I caccia bifusoliera della Regia Aeronautica

di Daniele Lembo

Quando si affronta il tema dei velivoli in uso alla Regia Aeronautica o anche solamente progettati per la stessa, ci si accorge ben presto che l'interlocutore, anche il più sprovveduto, ben conosce quali furono le macchine più famose prodotte dall'industria nazionale durante il secondo conflitto mondiale.

Tutti sanno dei caccia della Macchi, dei bombardieri della Savoia Marchetti o degli idrovolanti Cant.Z prodotti dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico.

C'è però una categoria di aerei, quella dei caccia bi fusoliera, i quali furono indubbiamente i velivoli nei quali l'industria nazionale dell'epoca profuse maggior impegno che sono praticamente sconosciuti ai più.

I caccia a doppia fusoliera furono pensati e progettati per rispondere all' esigenza di poter disporre finalmente di un efficace velivolo, potentemente armato, idoneo ad effettuare compiti di caccia pesante e di attacco a lungo raggio e capace di stare alla pari con aerei del tipo Messerschmitt Bf.11O tedesco e De Havilland Mosquito inglese.

Nell'impresa si cimentarono, con alterne fortune, le maggiori industrie aeronautiche italiane all'epoca attive. La Caproni Aeronautica Bergamasca, dopo la rinuncia da parte della Reggiane a costruire il Re.2005 bifusoliera, iniziò la realizzazione di uno dei progetti del noto ingegnere Cesare Pallavicino, il potente Caproni 380 "Corsaro", costruzione che realizzata solo in parte alla data dell'8 settembre 1943 fu definitivamente messa da parte in seguito ai farti armistiziali.

Qualche fonte fa cenno anche al progetto di un Macchi 205 (Veltro) a doppia fusoliera. Chi scrive può dire di non aver mai letto nulla che avesse i requisiti della congruità sull'argomento e che i contatti avuti, in via informale, con la Macchi al fine di saperne di più sull'argomento hanno avuto un esito negativo.

L'unica azienda nazionale, operante nel settore, che riuscì a progettare e far volare un velivolo del tipo in argomento fu la SIAl Marchetti.

La brillante mente dell'ing. Alessandro Marchetti, forse la mente più fervida che ha visto la luce nella bella cittadina di Cori in provincia di Latina, diede vita prima al prototipo del SIAI Marchetti SM. 91, costruito in due esemplari e poi a quello del successivo ed unico SM.92.

I velivoli progettati nel 1942 furono entrambi collaudati da Aldo Moggi.

L'S.M.91



Il nostro SM.91 fu un monoplano bimotore, con eliche tripale metalliche a passo variabile in volo, a struttura interamente metallica ad eccezione del rivestimento dei piani mobili i quali erano in tela, avente carrello retrattile verso l'indietro, con esclusione del ruotino di coda dotato di carenature.

L'equipaggio, costituito da un pilota e da un marconista-navigatore-arrniere, trovava I posto in tandem in una cabina climatizzata con abitacolo corazzato.

Inoltre le dotazioni dr bordo comprendevano un impianto RT tipo S.90 o B60. un'attrezzatura fotografica, un impianto per l'ossigeno ed uno antincendio ed infine un apprestamento antighiaccio sul bordo alare funzionante a mezzo dei gas di scarico dei motori.

La vera caratteristica del velivolo era costituita dai travi di coda che supportavano i due motori e la carlinga ubicata in posizione centrale tra i travi stessi.

La progettazione della macchina fu lunga e difficile. Dai disegni progettuali della SIAI Marchetti, che chi scrive ha potuto visionare, si deduce che la formula bimotore non fu l'unica presa in considerazione.

La fervida mente del progettista elaborò anche una eventuale formula trimotore, ove il terzo gruppo motore-elica trovava posto alle spalle dell'equipaggio.

Lo scrivente ha avuto modo di visionare anche uno schizzo di massima del progetto, ove il velivolo, proposto in formula monomotore, presenta il solo motore posteriore.

In questo schizzo, il pilota è praticamente sdraiato in posizione prona, cosa che fu realizzata nel successivo SM.93, ed è allogato in una cabina con la parte anteriore completamente vetrata che ricorda in qualche modo la cabina di pilotaggio dell'Re. Il 1 tedesco.

La cosa più sorprendente di questo schizzo è che le due semiali presentano nella parte esterna ai due travi di fusoliera e posizionate nella parte inferiore due "pinne di squalo" sulla cui funzione non si è in grado di dare alcun contributo e di cui si riferisce per semplice curiosità.

Il velivolo, destinato alla scorta lontana, al siluramento ed all'assalto al suolo, era mosso da due motori Daimler Benz DE 605, costruiti su licenza dalla FIAT, raffreddati a liquido mediante due radiatori, e riforniti da sei serbatoi autostagnanti siti nelle semiali esterne, capaci di 1.600 litri di carburante, dotazione aumentabile fino a 1.800 litri utilizzando serbatoi sganciabili. Una capacità di carico del carburante che dava al caccia una autonomia di 1.600 km.

La velocità massima raggiungibile era di 585 km/h a 6.700 m, mentre la tangenza massima era di 10.800 m.

L'armamento era costituito da cinque cannoni da 20 mm di cui tre posizionati sul muso della carlinga centrale (la previsione era però di quattro cannoni in questo sito) e altri due alla radice delle ali sui fianchi della carlinga.

Inoltre fu prevista la possibilità di montare su un arcone SIAI un ulteriore cannone da 20 mm nella parte posteriore della carlinga che doveva essere brandeggiato dal marconista-armiere.

L'armamento di caduta, per il quale furono previsti attacchi esterni era quantificabile in 1.640 kg di bombe oppure un siluro.

I! primo prototipo, con MM 530, volò per la prima volta, ai comandi del collaudatore Moggi 1'11 marzo 1943 a Vergiate. Il precipitare degli eventi non consentì che la nuova macchina fosse trasferita al Centro Sperimentale di Guidonia. Infatti il 12 ottobre dello stesso anno fu requisito e trasferito dai tedeschi in volo in Germania dopo aver volato con insegne littorie per poco pi' di 27 ore.
Il secondo prototipo, salvato dalle bramosie germaniche, e portato in volo il 10 luglio 1944 dal collaudatore Moggi e dal motorista Ceratti,fu distrutto da un bombardamento americano sull'aeroporto di Vergiate. In tale occasione trovo' la sua ingloriosa fine anche il SIAI Marchetti S.M.92 che costituiva la formula piu' avanzata del SM91.

L'ottimo prototipo poteva da un occhio poco esperto, essere facilmente confuso con lo statunitense P-38 Lightning, aereo dal quale differiva pero' per innumerevoli ragioni. Il nostro , oltre ad essere una caccia pesante che pesava tra l'altro quasi una tonnellata in piu' del caccia leggero americano, era una macchina, nelle sue proporzioni, molto piu' grossa di quella americana ed inoltre aveva una potenza di fuoco talmente elevata da non aver nulla a che vedere con l'unico cannone e le quattro mitragliatrici del P-38 , il quale di contro raggiungeva una velocità massima di 643 km/h

la somiglianza comunque era cosi' rilevante che nel Marzo 1944 un Macchi 205 dell'ANR, avendolo scambiato per un P-38 americano, attaccò durante un volo di collaudo il già citato prototipo dell'Sm.92, il quale nelle linee generali somigliava al suo predecessore SM.91.
Solo la perizia del collaudatore, il quale riuscì ad atterrare a Lonate Pozzolo, evitò la distruzione del prototipo. I danni furono comunque elevati e le riparazioni si protrassero per svariati mesi.

L'SM.92


Il "92" FU LA BRILLANTE EVOLUZIONE DELL' SM.91 . IL PROTOTIPO, COSTRUITO IN UN UNICO ESEMPLARE (MM 531), volò con insegne tedesche per la prima volta il 12 novembre 1943 e fino alla data della sua distruzione al suolo effettuò poco piu' di 21 ore di collaudo in volo.
Di quali furono le vicissitudini operative e terminali dellSM.92 avviamo già' detto.
La grossa novità del velivolo fu l'eliminazione della carlinga centrale e il posizionamento del posto di pilotaggio della macchina in un abitacolo ricavato nella fusoliera di sinistra.

Questa particolarissima novità strutturale diminuì la sezione frontale dell'aereo , nonché le dimensioni dell'apertura alare e del peso dell'aereo causando nel contempo il miglioramento delle prestazioni generali del velivolo. Il quale aumentò notevolmente la velocità ascensionale, portò la velocità massima a 615 km/h, la tangenza a 12.000 m e la sua autonomia a 2.000 km.

Questi brillanti risultati migliorativi furono ottenuti facendo restare invariato l'impianti propulsivo il quale veniva rifornito da serbatoi di benzina capaci di 1.860 litri di carburante.
Il nuovo posizionamento dell'abitacolo dava inoltre , all'osservatore che guardava dal lato destro, l'impressione che lo stesso fosse privo di pilota e telecomandato, ingenerando non poca confusione in un avversario.

Il nuovo eroe era armato con tre cannoni da 20 mm e cinque mitragliatrici da 12,7 mm.
Due cannoni erano alloggiati nel settore alare centrale, il terzo sparava attraverso il mozzo dell'elica destra.
Le mitragliatrici si trovavano in numero di due sotto ciascun motore. la quinta era invece in un bulbo, il quale ospitava anche il ruotini posteriore retrattile, situato sotto il pian di coda.

Quest'ultima arma, telecomandata, avrebbe ridotto lo svantaggio in combattimento manovrati con avversari dotati di maggiori doti acrobatiche.
Per questo aereo fu previsto dalla casa costruttrice un lanciabombe ventrale per bombe fino a 1000 kg e un lanciabombe unificato alare per bombe fino a 160 kg.

CONCLUSIONI

I due velivoli, furono tra le piu' belle macchine prodotte dall'industria aeronautica italiana. Se avessero effettuato il primo volo tre anni prima e fossero stati distribuiti ai reparti in numero sufficiente la Regia Aeronautica avrebbe avuto in dotazione il caccia pesante che non ebbe mai ed anche un probabile sostituto per il SM 79 silurante, cosa che avrebbe sicuramente sortito effetti favorevoli.
Peccato che, notoriamente, la storia non si fa con i se ed i ma.

I due aerei restano comunque quale significativo esempio della capacità dell'industria nazionale. la quale quando voleva e quando qualcuno gli forniva i motori, era capace di ottime realizzazioni.

L'interesse dei tedeschi per i due prototipi fu sicuramente dettato piu' dalla volontà di arraffare tutto l'afferrabile sul suolo italiano dopo l'8 settembre che da un effettivo interesse per le novità concettuali dei velivoli. Infatti i velivoli all'epoca ben poco avevano di nuovo per la Luftwaffe la quale, oramai orientata verso la propulsione a getto , nessun interesse avrebbe nutrito verso due velivoli con motori in linea.

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